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Costa d' Avorio

La Costa d’Avorio, o meglio la Cote d’Ivoire, visto che è l’unico Paese al mondo che pretende che il suo nome venga ovunque scritto nella sua forma francese, non è grandissima e con un tour come il nostro di 12 gg si può coprire più o meno tutta: l’aggettivo giusto che identifica tutto il viaggio è “etnico”, il paesaggio varia dalla foresta tropicale del sud fino al Sahel del nord, ma ciò che più colpisce di questo Paese sono gli Ivoriani, i loro diversi gruppi etnici, la loro voglia di ballare e suonare ovunque, la loro allegria, la loro voglia di vivere, meravigliosi e belli. La religione più diffusa è l’Islam al 40%, i cattolici al 35%: ho citato questo dato poiché è di fondamentale importanza per capire gli Ivoriani, infatti nonostante chiese e moschee, la vera religione è l’animismo. Tutti sono animisti, tutti credono agli spiriti Jin, tutti vivono una doppia vita: quella del giorno fatta di lavoro, famiglia, preghiera, sport, studio, e quella della notte dove anche l’uomo più umile e reietto della società può trasformarsi in un sommo “feticheur” che influenza chiunque, ricchi e poveri, re e politici. L’animismo è carico di sacralità, c’è la foresta sacra, l’albero sacro, gli animali sacri, e tante storie e leggende attorno ad essi, non molto dissimili dalle favole della nostra Bibbia. Per capire gli Ivoriani bisogna capire il loro alter Ego, il loro “altrove” metafisico che è estremamente importante.

 

30 gennaio, mercoledì: accendo la macchinetta del caffè, accendo il telefono, tre squilli, tra whatsup e mail, il volo per Abidjan è stato cancellato, Air France ci informerà sul da farsi nelle prossime ore: il primo ed ultimo intoppo del viaggio !!!! Che poi tale non è stato, infatti siamo stati dirottati su un aereo per Tunisi, per arrivare ad Abidjan esattamente 1 ora e mezza dopo rispetto al volo Air France. Issa e Francis le nostre guide erano lì fuori ad aspettarci, cambiamo al volo 100 euro in franchi CFA (1=655) e i mezz’ora siamo all’Hotel le Rose Blanche di Abidjan. Primo impatto visivo con la Cote d’Ivoire: tra i tanti paesi africani fin qui visitati è tra i più moderni, ordinati e luminosi.

31 gennaio, giovedì: Abidjan non la visiteremo, anche se ha bellissimi grattacieli e pur sempre una moderna capitale africana che di interessante ha ben poco. Quindi si parte destinazione Katiola, sono più di 400 km, la strada fino a Yamoussokro è ottima, a 4 corsie, ben curata: abbiamo a disposizione un bel pulmino da 24/25 posti, un po’ simile ad uno scuolabus, noi siamo in 10, poi c’è Ibrahim Koulibaly l’autista, Francis la guida e Issa il corrispondente e guida. Arrivati a Yamoussokro evito di guardare la grande cupola della Basilica, poiché voglio farlo per bene mentre oggi siamo solo di passaggio, infatti ci fermiamo più avanti, a Bouaké per la sosta pranzo. Dopo pranzo, altri 50 km fino a Katiola: prima di fermarci in albergo andiamo al centro di lavorazione della ceramica del popolo Mangoro, qui formano i giovani al lavoro, alcune ceramiche non sono male ma sicuramente non trasportabili in Italia, ci mostrano il torchio e l’argilla, infine la galleria d’arte. Alle 17:00 siamo all’hotel “Hambol” di Katiola, con la classica architettura africa anni 70’, visibile un po’ in tutto il Sahel. E’ comunque un buon albergo, con piscina.

1 febbraio, venerdì: oggi giornata particolarmente intensa, ricca di attrattive: dobbiamo percorrere la strada da Katiola a Korhogo, 170 km che percorriamo nella mattinata con diverse soste: nella prima di

queste Issa ci mostra l’albero dell’anacardo con il suo doppio frutto, seguono piantagioni di caucciù ed un bel villaggio dove si raccoglie e si ammassa il cotone, queste montagne bianche stonano, sembrano aliene, nel paesaggio polveroso e sfumato del Sahel. Prima di arrivare a Korhogo, prendiamo una pista sconnessa che in 30 minuti ci porta al villaggio di Fakha, quello dei pittori tradizionali con spatola; essi dipingono su tele bianche utilizzando una spatola ed usando un solo colore, negli anni ’30 arrivò in questo villaggio Pablo Picasso che si fermò a dipingere per una settimana, e proprio qua sembrerebbe che abbia trovato ispirazione per le sue tele afro. Gli abitanti conservano ancora una tela che attribuiscono proprio a Picasso, non ci credo moltissimo, anche perché è conservata a terra insieme alle altre, è solo un po’ più gialla, e dopo quasi 100 sarebbe miracoloso che una testimonianza del genere rimanga così ignorata. Pranzo a Korhogo, subito dopo visitiamo una cooperativa femminile dove producono il burro di karité e ci mostrano tutti i passaggi della lavorazione, poi è la volta degli scultori di Koto che producono maschere ed oggetti vari in legno. Infine, a pochi chilometri da Korhogo, raggiungiamo il villaggio di Waraniené celebre per i tessitori, anch’essi riuniti in una cooperativa, tessono con il telaio tutti insieme producendo vestiti e borse in cotone grezzo che naturalmente vendono. Sempre a Waraniené assistiamo alla danza degli uomini pantera, nata decenni fa tra i bambini oggi è diventata una danza tradizionale che coinvolge tutto il villaggio e gli interpreti sono degli acrobati, bravissimi.

 

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2 febbraio, sabato: oggi il trasferimento Korhogo – Boundiali, il tragitto è di soli 100 km, ma le cose da vedere sono parecchie, siamo nel nord della Costa d’Avorio, in territorio Senoufu, etnia completamente animista. La prima visita è al villaggio di Niofoin, bellissimo, grazie soprattutto alla gran capanna dei feticci che un po’ mi ha ricordato la casa di grande Puffo. Arrivati a Boundiali, prima di pranzare andiamo al villaggio dei Peul (o Fulani) attraversando un grazioso bosco di manghi: essendo un’etnia nomade, non si

mischiano con i Senoufu e rimangono indipendenti, anche somaticamente mantengono i tratti longilinei e sfinati tipici del popolo Peul che popola tutto il Sahel, dalla Mauritania al Sudan. Pranzo a Boundiali, poi procediamo in direzione nord, a 26 km il villaggio di Kolia con la capanna sacra dove arde un fuoco dal XVII sec., poi 8 km più avanti la moschea in banco di Kouto. Ritorniamo a Boundiali e raggiungiamo prima del tramonto un villaggio nella brousse a circa 45 minuti di sterrato e qua tutto il villaggio ci aspetta per mettere in scena un’altra danza, precisamente la danza Ngoron, a ritmo di balafon e tamburi ballano uomini e ragazze adolescenti con il petto nudo, il ritmo diventa sempre più sfrenato attorno ad un fuoco. Ritorniamo a Boundiali per la cena.

 

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3 febbraio, domenica: oggi il trasferimento Boundiali – Odienné, sulla carta sono solo 130 km ma la strada è pessima, tutta in costruzione si segue una pista parallela che entra ed esce, infatti arriviamo giusto a pranzo all’hotel di Odienné. Dopo pranzo ci rivediamo alle 15:30 per assistere alla danza dei “Dozos”, o meglio è una dimostrazione di abilità dei Dozos, essi non sono un gruppo etnico ma letteralmente il loro nome significa “cacciatori” riuniti in una specie di confraternita occupano il nord della Costa d’Avorio, il Mali e il Burkina: durante la guerra civile hanno prestato aiuto ad entrambe le fazioni, un po come soldati di ventura. I Dozos credono molto alla magia, si esibiscono in prove magiche con i loro gris-gris, amuleti magici: e noi assistiamo ad alcune di queste prove e dimostrazione dopo averci condotto nel loro bosco sacro, nelle campagne di Odienné, dove c’è la pietra sacra “Dendelé” che esaudisce ogni desiderio gli venga richiesto.

4 febbraio, lunedì: La strada da Odienné a Man invece è ottima, praticamente costeggiamo il confine con la Guinea Conakry, a tratti è sull’altra sponda del fiume. Alle 10.30 siamo a Touba, ordiniamo prima il

pranzo, poi a 15/20 minuti di pista raggiungiamo il villaggio di Silakro con lo stagno sacro popolato di siluri, lo stagno non è altro che una pozzanghera, ma nel complesso il villaggio è molto bello, ordinato, nel cuore della foresta, e molto popolato dai bambini e dalle donne che pestano il riso a ritmo sincronizzato. Dopo Odienné siamo usciti dalla zona dei Senoufu ed entrati nella zona dei Gan, e, ad un villaggio quasi adiacente a Silakro ci fermiamo per assistere alla danza con i trampoli, qualcosa di incredibilmente bello poiché partecipa tutto il villaggio: è vero che si stanno esibendo per noi, ma la partecipazione è totale, tutti ballano e cantano, come se fosse, e sono sicuro che lo è, la normalità. Inoltre le due maschere, l’una con in trampoli e l’altra la donna dai fianchi grandi, sono meravigliose. Dopo il pranzo a Touba, arriviamo a Biankouma, qua come dimostrazione di rispetto ed ospitalità vengo nominato re dei Gan, e Renato e Giulio notabili: scritta così sembra una pagliacciata, eppure per 2 ore, per il re dei Gan e tutta la sua corte è stato qualcosa di estremamente serio, una cerimonia condotta rispettando tutte le fasi del protocollo, tanto che ci hanno regalato i vestiti e una bottiglia di whiskey, un omaggio alla nostra venuta. Ecco perché l’Africa sorprende, poiché è seria ed allo stesso tempo incredibile. Arrivo a Man dove stiamo per due notti.

 

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5 febbraio, martedì: stanotte ero convinto che fuori annaffiavano il giardino, invece no, pioveva ed è continuato a piovere fino all’ora di pranzo, per fortuna con meno scrosci. Oggi è la giornata della gita al ponte di liane, arriviamo fino al villaggio di Liolepleu dove c’è il più ben conservato ponte di liane della Cote d’Ivoire sul fiume Cavally: la leggenda vuole che il ponte viene costruito in una sola notte, mentre le liane vanno raccolte i 5 giorni antecedenti la costruzione, il ponte è sacro, e quando si attraversa bisogna togliersi le scarpe: da Man sono 2 ore e mezza andare e altrettante per tornare. A pranzo ci fermiamo a Danané, la città non offre niente, e ci arrangiamo con del pane e del tonno comprato al supermercato. Al ritorno a

Man andiamo alle cascate di Man appunto, ma c’è pochissima acqua a svantaggio dello spettacolo, anche qua c’è un ponte di liane ma non è originale poiché costruito con l’ausilio di corde. Di fronte al nostre albergo invece vive una comunità di scimmie sacre golose delle nostre banane; finiamo il pomeriggio con una passeggiata al centro di Man, al mercato coperto e scoperto. A cena andiamo fuori, al ristorante marocchino.

 

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6 febbraio, mercoledì: oggi la giornata più noiosa, un lungo trasferimento di 360 km percorso in 10 ore perché la strada ha un asfalto devastato, da Man a Yamoussokro. Sosta pranzo a Daloa, in un ristorante marocchino dove ci sorprende a tutti “felicità” di Al Bano e Romina sparata a tutto volume nel locale. Prima di lasciare Daloa ci fermiamo qualche minuto in un grazioso centro artigianale, forse tra i più forniti di tutto il viaggio. Arriviamo a Yamoussokro alle 18:00, purtroppo il guardiano ha già dato da mangiare ai coccodrilli sacri del lago, quindi possiamo solo osservare queste bestie, immobili sulla piccola spiaggia zeppa di rifiuti. Cena in un ristorante sul bordo lago, il lago appunto dei coccodrilli.

7 febbraio, giovedì: prima di visitare la maestosa e celebre basilica di Yamoussokro, andiamo con il bus a mezzora di strada verso nord, in un villaggio sulla strada per Bouaké per assistere ad una danza con le maschere Goly. Qua c’è anche la possibilità di acquistare tessuti in cotone molto ben lavorati e prodotti con il telaio. Quindi ritorno a Yamoussokro e visita della Basilica di Nostra Signora della Pace, perfetta replica di S.Pietro ma con la cupola di qualche metro più alta: un’immensa opera architettonica che spicca nel verde tropicale. Voluta da Félix Houphouët-Boigny, il padre della Patria, completata nel 1989 e consacrata l’anno dopo da Papa Giovanni Paolo II, è sicuramente un’opera controversa soprattutto se fatta in un Paese in via di sviluppo, soggetta a innumerevoli critiche; personalmente le capisco ma a volte sono proprio queste le opere che uniscono un popolo, che alimentano un sentimento di unità nazionale, che danno prestigio

turistico ad una città, io stesso, trovandomi a progettare un viaggio in Cote d’Ivoire, ho subito voluto inserire la Basilica nel programma. Pranziamo a Yamoussokro, poi alle 13:40 partiamo per Abengorou, sono 260 km, la strada è un po’ meglio rispetto a ieri, ma arriviamo solo alle 18:20 di sera. Dopo cena viene in albergo il nipote del Re di Abengorou per un briefing sulla festa di domani, distribuiamo le magliette e tutti a letto.

 

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8 febbraio, venerdì: la giornata della festa dell’Igname nel “Royaume de l’Indenie” indetta dal re, Sua maestà Nanan Boa Kouassi III: tutto il paese è in fermento, già dalle 8 del mattino ci aspettano per una partita di calcio sulla strada, facilissimo farsi male, infatti Renato si scheggia un’unghia e arriva il servizio ambulanza pronti a medicare…..per la cronaca finisce 1-1 ma ai calci di rigore vincono loro. La festa continua con musica e balli, poi c’è la conferenza abbastanza noiosa, arrivano i trampolieri, e la strada davanti al Palazzo Reale si riempie sempre più di gente. A pranzo ritorniamo in Hotel, con del pane e delle scatolette prese al supermercato, poi nel pomeriggio inizia la festa vera e propria all’interno del cortile del Palazzo Reale, iniziano ad arrivare tutte le delegazioni tra cui la nostra quella italiana, poi i vari Re della Costa d’Avorio tra cui il Re dei Re di Gran Bassam, i feticheur, le autorità, un vescovo e il popolo fuori schierato ad aspettare. Durante la cerimonia vengono sacrificati due montoni e strane formule ripetute sul sangue versato insieme alla pappa di igname, sicuramente formule che augurano la fertilità e il buon raccolto. La festa continua anche nel dopocena con balli e teatro sempre sotto forma di danza e il tutto è fortemente legato alla tradizione animista.

 

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9 febbraio, sabato : il viaggio etnico è finito, ora ci aspettano due giorni di relax al mare: partiamo alle 08 da Abengorou direzione Gran Bassam per pranzo, hotel “Etoile du Sud”, e arriviamo proprio alle 13:00 nonostante il traffico di Abidjan. La spiaggia di Gran Bassam è affollatissima, soprattutto nei tratti di spiaggia libera. C’è qualche cavallo che corre, massaggi con olio, venditori vari dall’ananas ai parei, pochissimi turisti bianchi e onde altissime e divertenti, soprattutto per i bambini.

10 febbraio, domenica : giornata intera al mare e piscina, quella dell’albergo è praticamente sulla spiaggia, relax tutto il giorno. Prendiamo una camera in day use per fare una doccia e alle 19:00 partiamo direzione aeroporto, sulla carta ci vogliono 20 minuti, sono solo 17 chilometri ma il traffico è così intenso che impieghiamo un’ora. Volo Air France regolare e arrivo a Roma lunedì mattina alle 10.

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