Mauritania & Sahara Occidentale
Un viaggio che ha superato le aspettative della partenza, anche grazie ad un itinerario che ha previsto due giorni di mare all’inizio e due giorni di mare alla fine, inframmezzati dal deserto della Mauritania, le oasi, gli antichi Ksour di Cinguetty e Ouadane, il monolite di Ben Amira, e poi seguendo i binari del treno più lungo al mondo, verso ovest, verso l’Atlantico; la piacevole sorpresa di Dakhla nel Sahara Occidentale, Kitesurf, villaggi turistici e riposo in spiaggia.
29 nov, mercoledì: mattino presto, con Enzo e Gherta accompagniamo mio figlio a scuola, piove, c’è traffico, è umido, siamo a Fiumicino in orario perfetto per un check-in alle 10:20 e volo della Royal Air Maroc per Casablanca alle 12:00, è mezzo vuoto. Anche se non ci credo finché non chiedo ad almeno 10 persone, nell’area transiti dell’aeroporto di Casablanca non c’è una sala fumatori ed optiamo per una stanza al “Fly Hotel”, una singola 35 euro per 8 ore, essenziale, un letto, un armadio, senza finestre. Nel lungo scalo è prevista anche la cena, vanno ritirati i voucher presso il desk clienti della RAM e poi un piatto unico self-service al ristorante “La Pausa” il peggiore. Imbarco alle 19:40 e volo molto soporifero fino a Nouakchott, sempre RAM, dove atterriamo alle 23:45. La fila per prendere il VISA è lunga, il prezzo è 55 euro cash, poi tanti controlli finché usciamo definitivamente dall’aeroporto all’01:15, fuori c’è il piccolo ed efficientissimo Mohamed ad aspettarmi. Arrivo in stanza d’albergo alle 2 di notte, sonno profondo.
30 nov, giovedì: hotel Halima, a Nouakchott, sveglia traumatica, ma sono in Africa, è giorno, fa caldo. Scendo giù per la colazione, saldo il costo del viaggio e cambiamo tutti i soldi, in media 100 euro a testa, più che sufficienti, forse anche troppi. Forse un’ora da dedicare alla caotica capitale Mauritana, uguale a tante altre capitali africane, il tempo di prendere 5 schede “cinguitel” (le sconsiglio, il traffico dati non a tutti è stato aperto, provate l’altra compagnia), le sigarette ed uscire dal traffico. Noto che la città è in festa, domani è il venerdì del profeta, e, alla bandiera verde con mezzaluna e stella gialla sono state aggiunte due strisce orizzontali rosse, sembra sia l’ultima trovata del presidente in un referendum costituzionale del 6 agosto scorso.
Usciamo finalmente dalla città, inizia il caldo ed il deserto, direzione verso il mare riuscendo a fare un po’ di km sulla battigia fin quando è possibile e il mare lo permette perché si sta alzando la marea: dune che finiscono in mare e relitti d’auto corrosi dalla salsedine, fin quando non siamo costretti a virare verso l’interno e riprendere l’asfalto, attraversando villaggi di pescatori con i muggini e la bottarga stesi a seccare al sole. Sostiamo per il pranzo all’ingresso del parco nazionale del Banc d’Arguin, intanto che aspettiamo Ely Chieck il bravissimo cuoco che prepara il pranzo, visitiamo il museo annesso, direi un’ottima visita propedeutica al Banc d’Arguin che illustra geograficamente il parco, la flora, soprattutto la fauna composta da uccelli migratori provenienti dall’europa, e le comunità di pescatori Imraguen che abitano nel parco. Ely ci prepara un’insalata mista con mais, rapa rossa (sarà ahimé una costante), cetrioli, uova sode, carote e
tonno, più o meno il pranzo dei prossimi 8 giorni. Dopo pranzo riprendiamo il viaggio, sosta al villaggio di Chami per comprare un po’ di viveri, poi puntiamo decisamente verso ovest e alle 17:20 siamo al campo tendato (tende maure da 10 posti ma noi le prendiamo per 2) di Arkeis, giusto il tempo di poggiare il bagaglio in tenda infilare il costume e sono in acqua, nuoto nel mio elemento togliendo via tutte le tensioni. Uscendo c’è la possibilità di farsi una doccia tanto per togliere via il sale, poi corro a vestirmi perché ho freddo, il sole inizia a scendere, bellissimo è il tramonto ma fresco, ci vuole una felpa. Discuto con Mohamed e Dah (la guida in seconda) sul programma dei prossimi giorni, poi cena con trancio di pesce forse la palamita, verdure cotte e zuppa di carote. Dopo cena l’immancabile thè da bere per 3 volte: vita, amore e morte. Poi con le mappe stellari di Giancarlo imparo un po’ di costellazioni, Andromeda, Cassiopea e la rossa Betelgeuse a sinistra di Orione. Notte cullato dallo sciabordare delle onde.


1 dicembre, venerdì: inizio marino a dicembre, notte di onde, alle 04 devo infilarmi ancor di più nel sacco a pelo poi alle 06 tramonta la luna e il cielo di stelle sfavilla. Prima colazione all’aperto, colazione sulla spiaggia. Partiamo alle 08:20 per l’escursione in barca all’isola di Tidra, ma ci imbarchiamo dal villaggio Imraguen di Iwik che dista circa 30 minuti di jeep da Arkeis. Il Parco Nazionale del Banc d’Arguin si estende per 160 km lungo il litorale della Mauritania, vi si trovano canali creati dalle correnti tra le isole, isolotti che l’alta marea non riesce a sommergere e terreni fangosi. Dichiarato sito del patrimonio UNESCO dal 1989 ospita circa 250 specie con un numero complessivo intorno ai 2 milioni e mezzo di uccelli, offrendo molluschi, crostacei e pesci come alimento per i pennuti; proprio al banc d’Arguin passa una delle più importanti vie di migrazione europea e si trova uno dei tratti più pescosi, e quindi ricchi di cibo, dell’Oceano Atlantico.
La crociera è in barca a vela, comandati dagli esperti marinai Imraguen di Iwik: a bordo ci offrono pesce affumicato e thè servito in una “elegante” tanica di benzina bucata apposta per contenere teiera e 2 tazzine. Arriviamo di fronte all’isola di Tidra, sembra che sia vietato scendere a terra e avvicinarsi alla riva, tuttavia il nostro marinaio lascia intendere che oleando i giusti ingranaggi si può fare …. Le colonie di uccelli sono numerosissime e variegate, molto belle nel momento in cui si alzano in volo tutte insieme. Pranziamo a bordo con la classica insalata di riso preparata da Ely, e inizia a far veramente caldo, il sole scotta e tutti cercano l’ombra della vela. Torniamo sulla spiaggia di Iwik alle 15:00, c’è un piccolo negozio di artigianato da visitare dove vendono quasi esclusivamente collanine e bracciali ricavate dalle vertebre dei pesci, c’è un bellissimo carapace di tartaruga abbandonato sulla sabbia ma devo lasciarlo lì. Torniamo ad Arkeis e ci beviamo una bibita fresca sotto al tendone del bar, io scrivo aspettando l’ora giusta per un bel bagno al mare: sono le 16:30 vado a tuffarmi, acqua limpida e fresca, mossa, poi mi asciugo giocando a pallone sulla spiaggia con due bambini. Al tramonto siamo tutti sulla collina alle nostre spalle, è Cape Tafarit, c’è l’oceano infinito, ma tutti noi cerchiamo di prendere un segnale telefonico poiché sembra che quassù sia
l’unico punto dove c’è linea, e tutto ciò toglie moltissimo a quegli attimi. Stasera il cuoco ci ha fatto scegliere, o carne o pesce, poi abbiamo il panettone e gli utlimi fichi di Calabria di Enzo e Gherta. Per il dopocena, la guida Dah ci racconta una storia sugli usi e costumi del matrimonio in Mauritania mentre prepara pazientemente i 3 giri del thè.


2 dicembre, sabato: oggi dovremo percorrere molti chilometri, quasi tutti verso est, ci infiliamo tra la sabbia, dall’oceano al vero Sahara. Si parte prestissimo, alle 07:30 siamo già in jeep: breve sosta a Chami per il rifornimento, poi al villaggio Imraguen di Mhajratt per comprare la bottarga. Una lunga mattinata di pista piuttosto veloce, a Bennichab proviamo ad assaggiare l’acqua fossile ma lo stabilimento è chiuso, sono andati tutti a Nouakchott per la festa del profeta. Alle 13:00 tra i miraggi del deserto troviamo un po’ d’ombra di acacia per pranzare. Alle 15:00 sosta rifornimento al villaggio di Agjoujet, inoltre c’è il cambio autista: alla pompa c’è ad aspettarci Ibrahim che va a sostituire suo fratello Mohamed, che con i mezzi pubblici ritornerà in capitale. Più avanti il paesaggio diviene meno polveroso e più sabbioso: avvistiamo il lunghissimo cordone di dune di Amatlich, iniziano le oasi, i palmeti, i colori arancioni e verdi contrastano perfettamente con il turchese del cielo. Le nostre jeep si arrestano proprio sotto alla grande duna di Azweiga, qua al crepuscolo montiamo il campo: ognuno di noi ha la propria tenda, il luogo è notevole, tra un palmeto e la sabbia: saliamo subito in cima per salutare il sole da lassù. Ely per cena prepara una specie di pollo alla cacciatora, mentre la zuppa non era buona come le altre, non avendo tempo ha usato sicuramente le buste preconfezionate.


3 dicembre, domenica: risveglio di sabbia, bellissimo. Pochi chilometri dalla gran duna di Azweiga, Mohamed ci mostra il fenomeno delle sabbia colorate: in pochi metri quadrati abbiamo sabbie bianche,
gialle ed ocra quasi geometricamente distinte tra loro. Più avanti entriamo nel canyon di Tivoujar, le jeep la prendono larga mentre noi scendiamo correndo a piedi. Appena finisce il cordone di dune di Amatlich c’è lo sperduto villaggio di Legleitale, è il villaggio natale di Mohamed, c’è ancora la capanna semidistrutta dove è nato 60 anni fa e qua lascio il borsone di giocattoli e vestiti per bambini. Questo villaggio situato ai bordi di una grandissima oasi sembra fantasma, ma all’improvviso, come sempre in Africa, saltano fuori donne e bambini: lo stesso Mohamed torna qua ogni anno, nei caldi mesi estivi, per la raccolta dei datteri. Oggi la pista è intervallata da tratti impervi e piste di sabbia molto veloci, proseguendo più avanti incontriamo carovane di cammelli, villaggi nomadi, fin quando non siamo di nuovo all’asfalto: qua giriamo a destra, ancora a destra, 10 km, ed ecco l’oasi di Tirjit dove pranziamo. Tirjit è un luogo meraviglioso, fresco, pieno d’acqua, ruscelli tra le palme, tende maure, infilato dentro ad un canyon piuttosto stretto, un sollievo per chiunque durante le calde ore centrali del giorno. Pranziamo sotto ad una grossa tendono insieme a due turiste svizzere che hanno appena compiuto un trekking di 7 giorni da Cinguetty a Tirjit: appunto Cinguetty, un’altra mitica porta del Sahara e nodo carovaniero, millenni di commerci, sarà la meta di stasera.
Prima di arrivarci però c’è ancora strada, attraversiamo l’oasi grandissima di Mhayreth, dopo di essa a parte il primo tratto di strada quasi impossibile da percorrere, c’è un’ottima e veloce pista fino a Cinguetty, sono le 16:30. Siamo all’Auberge “La Gueila” della signora francese Silviette, un po’ persa nel suo mondo, in un posto delizioso: andiamo al centro storico di Cinguetty al tramonto, con la migliore luce per fotografare e per sopportare il sole. Subito siamo assaliti dai commercianti di souvenir ma gli appuntamenti shopping sono alla fine: giriamo per le vie semisepolte dalla sabbia, che girano attorno al celebre minareto simbolo della città e della Mauritania intera dove però non si può entrare, 16 sono le biblioteche che custodiscono secoli di sapere sahariano, solo 2 sono visitabili, e noi andiamo in quella di Save. Quest’ultimo è un istrionico bibliotecario che ci illustra storia, usi e costumi e naturalmente libri e tecniche di scrittura a Cinguetty: una visita intensa e piacevole, in questo luogo, come ritornare a secoli fa, alle carovane infinite che attraversavano le sabbie dell’Africa, cariche di sale, oro, avorio e manoscritti, il sapere che viaggia sulla gobba del dromedario. Preziosi testi di poeti, letterati, filosofi, giuristi conosciuti in tutto il mondo islamico, alcuni scritti su pelle di gazzella, sono custoditi presso le vecchie famiglie della città, tramandati di padre in figlio, insostituibile ed unica memoria dei popoli del Sahara. Dal XVI sec. fino all’era coloniale, la città di Cinguetty conobbe una grande prosperità, centro culturale contava circa 20.000 abitanti, e il nome “Cinguetty” serviva ad identificare la Mauritania intera, o meglio tutte le genti provenienti dal Sahara occidentale come “genti di Cinguetty”.
Ceniamo al nostro auberge naturalmente, con cous cous e carne di cammello (un po’ dura): “La Gueila” ha camere doppie, le lenzuola odorano di pulito, i bagni e le docce anche se in comune sono perfetti, c’è anche la connessione wi-fi.


4 dicembre, lunedì: ci alziamo presto perché a Cinguetty vecchia tutti ci vogliamo ritornare, ancora per una passeggiata, qualche minuto ancora in questo antico Ksour del Sahara antico. E compriamo pure qualche chincaglieria. A circa 3 km dalla città vecchia, sorge un altro minareto, quello ancora più vecchio dell’attuale, su una città oramai sepolta completamente dalle sabbie, è ancora possibile salire fino in cima anche se è abbastanza diroccato. Destinazione Ouadane, che dista 80 chilometri, ma non ci fermiamo subito, lasciamo la visita del Ksour per la sera con la luce del tramonto. Invece proseguiamo verso il “Guelb El Richat” ovvero l’occhio d’Africa (come l’hanno nominato gli astronomi dallo spazio), un’enorme cratere con un diametro di 40 km sulla cui origine nessuno ha mai saputo dare una spiegazione definitiva: un vulcano abortito? L’impatto di un meteorite? Un incrocio di fratture tra placche tettoniche? Di sicuro è un luogo magnetico, desolato, aspro e contiene al suo interno un vero e proprio album geologico. Noi ci fermiamo lì a pranzo, la classica insalata di riso la mangiamo proprio al centro del cratere, all’ombra dell’unica casupola in mattoni e sferzati dal vento. Poco prima di entrare nel Guelb El Richat ci siamo fermati in un antico forte portoghese a forma di caravella, ormai completamente distrutto, che doveva servire come stazione di scambio per le merci.
Ouadane dista un’ora di strada dal bordo del cratere e alle 15:30 siamo all’Auberge “Vasque” dell’energica signora Zaida: offre camere molto ampie, pulite e con bagno in camera. Alle 17:00 a piedi andiamo al sorprendente ksour di Ouadane: un cumulo di sassi gialli, semidistrutta, un labirinto che si ramifica dall’arteria principale, ovvero la “Rue des 40 savants” i 40 sapienti che in un passato glorioso abitavano Ouadane, città bellissima. Giriamo per 1 ora e mezza tra le sue vie, cominciando dall’antico minareto (molto simile a quello di Cinguetty), la sala di preghiera, quindi le 3 case dei fondatori, un pozzo d’acqua che permetteva l’autosufficienza in caso d’assedio, terminando con il nuovo minareto, sempre fedele allo stesso stile. Ouadane, la città dei due wadi, a differenza di Cinguetty è aggrappata ad una falesia: qui fu fondata la prima Università del deserto, qui fu ritrovato il più vecchio manoscritto della Mauritania, fondata nel 1147 d.C. anch’essa fu un importante snodo carovaniero. Attualmente la città vecchia è disabitata ma confina con la nuova in una perfetta integrazione architettonica. Così l’esploratrice Odette de Puigaudeau scrisse: <>. Forse si, Ouadane mi ha affascinato.
Stasera all’Auberge non ha cucinato Ely ma la signora Zaida: zuppa di carote, un pane spugnoso molto simile all’injera ma più fino e meno acidulo da mangiare con uno stufato di carni e verdure.


5 dicembre, martedì: c’è vento, anche in questo viaggio si è alzato l’Harmattan, o Elgetma come lo chiamano i Mauri, e con esso si è alzata la sabbia e la foschia, la falesia di Ouadane a circa 600 metri quasi
non si vede, è tutta sfuocata. E fa anche più fresco, oggi si parte con la felpa. Quasi sulla strada sostiamo alle pitture rupestri “Pantir Paster” che ritraggono scene pastorali, qualche centinaio di metri più avanti ammiriamo giù nella valle “Fort Saganne” set cinematografico dell’omonimo film, anche se in linea d’aria dista pochissimi chilometri, per raggiungerlo bisognerebbe prendere una strada lunga e tortuosa poiché la più diretta ha dei punti di crollo.
Alle 12:30, dopo un’unica sosta foratura, siamo ad Atar la capitale della regione dell’Adrar: lo staff si occupa del rifornimento carburante e viveri, mentre noi abbiamo una mezz’ora per visitare il mercato e mangiarmi qualche frittella con salsa di pomodoro e cipolla che chiamano Benya. Alle 13:15 riprendiamo la strada verso nord, un deserto polveroso con qualche acacia striminzita qua e là, c’è vento e sembra non ci sia ombra, quindi quale miglior posto per fermarsi a mangiare che sotto il ponte di cemento della strada? Almeno è riparato.. Proseguiamo ancora verso nord fino alle 15:30, quando finalmente in uno sperduto villaggio incrociamo la ferrovia del treno più lungo del mondo, siamo al chilometro 451, cioè 451 chilometri di ferrovia, 451 chilometri per arrivare al mare: ora direzione ovest fino al porto di Nouadibhou. Altri 50 km e arriviamo al monolite di Ben Amira, il secondo più grande al mondo dopo l’Ayers Rock in Australia, un sasso enorme, pensarlo e vederlo come unico blocco fa impressione. Un po’ più lontano da Amira, c’è l’altro monolite, più piccolo Aysha, e tra di loro i figli, tanti piccoli sassi: secondo la leggenda Ben Amira partì per un viaggio e al suo ritorno trovo Aysha con un’altra montagna, che fu scacciata via ad 80 km di distanza. Sotto ad Aysha, intorno all’anno 2000, alcuni scultori scolpirono qua e là sui grossi sassi aquile, cammelli, teiere, pesci, poltrone, volti astratti, un museo a cielo aperto che sicuramente impreziosisce le potenzialità turistiche dell’area. Peccato che il vento forte non ci fa godere appieno della visita. C’è anche troppo vento per montare le tende, così Mohamed chiede ospitalità ad una famiglia del villaggio-stazione di Ben Amira per poter montare le tende nel cortile ed usufruiamo di una stanza per poter consumare la cena, io e Roberto ci dormiamo anche. A pochi metri da noi c’è la ferrovia: i binari tagliano in due il desolato villaggio, un luogo spazzato dal vento, spettrale quanto spettacolare. A cena arrivano dei grossi cosci di montone, piuttosto saporiti, ma proprio mentre stiamo mangiando arriva Dah di corsa: “Le train ! Le train
!” e tutti accorriamo fuori a vedere il treno, un po’ come i nostri avi cento anni fa, nei piccoli paesi di campagna.


6 dicembre, mercoledì: partiamo dalla stazione-villaggio di Ben Amira alle 07:45, oggi ci aspetta una lunghissima tappa di trasferimento che ci porterà fino all’oceano atlantico. Sbattuti dal vento, continuiamo a seguire “Le chemin de Fer” verso Nouadhibou. Alle 09:00 ecco il treno, fermo alla stazione di Tmeimichatt, finalmente possiamo firmarlo e fotografarlo: è il treno più lungo del mondo, arriva a trascinare fino a 250 vagoni con 4 motrici, carichi di ferro tra il porto di Nouadhibou e le miniere di Zouerat,
un mostro lunghissimo che concede ai passeggeri l’ultimo sgangherato vagone. Poi ancora deserto e deserto polveroso, paesaggio monotono, incontriamo qualche mandria di cammelli, due auto, 3 o 4 nomadi, 2 forature e un ammortizzatore partito completamente, niente di più. Finalmente alle 14:00 siamo sull’asfalto e poco dopo ci fermiamo a mangiare dentro ad un vecchio albergo nel villaggio di Boulanware, cucina Ely per l’ultima volta, stasera le auto torneranno indietro, a Nouakchott. Gli autisti si riforniscono di benzina al mercato nero con imbuto e taniche e alle 16:00 siamo di nuovo in viaggio, Nouadhibou dista 80 km e anziché dirigerci direttamente in hotel andiamo verso il porto per vedere il cimitero delle navi, prima c’erano più di 200 relitti, oggi, per fortuna, li hanno smantellati e ne sono rimasti 6 o 7. E’ questo un porto franco dove disfarsi delle navi, in modo economico e veloce. Passiamo la notte al bell’hotel Al Jazira e presto siamo tutti rapiti dalla connessione wi-fi, ceniamo da “Monaco” un ristorante proprio adiacente, gestito da uno spagnolo, che ci prepara filetto di pesce e birra “Flag” tunisina. Tutto lo staff dell’agenzia è tornato in capitale, con noi è rimasto solo Mohamed, il capo, che ha affittato un pulmino con autista per passare il confine, entrare in Marocco e accompagnarci fino a Dakhla.


7 dicembre, giovedì: anche oggi una lunga tappa monotona di trasferimento, che segue tutta la costa, da Nouadhibou a Dakhla, verso nord. Prima di lasciare la Mauritania andiamo all’ufficio postale per reperire i francobolli. Poi ci sono le frontiere, lasciare la Mauritania è abbastanza veloce, entrare in Marocco è un’odissea: naturalmente non stiamo entrando attraverso una semplice frontiera, ma stiamo entrando in Sahara Occidentale, un territorio occupato: tra gli i controlli e perquisizioni, non posso non ricordarmi quella del poliziotto marocchino che quando vede sulla mia mappa il Sahara Occidentale di un colore diverso si arrabbia, prende la penna, lo sbarra, e sopra ci scrive “Maroc”, bravo lui, sarà soddisfatto ogni volta che si permette queste prepotenze contro viaggiatori che non possono certo manifestare obiezioni. Alle 11:00 siamo finalmente nel Sahara Occidentale, dalla frontiera a Dakhla ci sono 380 km, ci fermiamo a pranzo nell’unico villaggio che incontriamo nella monotonia del paesaggio: solo deserto bianco e polveroso, con qua e là arbusti striminziti. Siamo a 280 km da Dahkla, mangiamo velocemente, anche perché è un ristorante attrezzato per far mangiare al volo la gente di passaggio che lì è costretta a fermarsi. A 94 km da Dakhla c’è il cartello del Tropico del Cancro, foto automatica. Subito dopo si intravede qualche bella duna bianca che finisce in mare, c’è un’indicazione: è per il villaggio di pescatori di Portorico. Alle 17:00 siamo al villaggio vacanza del “Dakhla Attitude” che è a 30 km da Dakhla, bungalows sul mare, bar, ristorante, centro massaggi, kitesurf, mojito, in pochi minuti siamo catapultati in un altro mondo, ma è bello anche qua, anzi bellissimo. E’ un luogo consigliatissimo per gli amanti del Kitesurf, per andare al mare non è proprio il massimo poiché c’è la bassa marea e farsi il bagno significa camminare parecchio. Cena a buffet.


8 dicembre, venerdì: oggi mi riposo, rimango tutto il giorno al “Dakhla Attitude”, mare, lettura, sole, massaggio prima di pranzo, birra fresca, passeggiata, mojito…fino al tramonto. Mentre il resto del gruppo è uscito in escursione alle dune bianche di Portorico e alla laguna di Sebhka dove vivono i pesciolini capaci di farti la pedicure. Sera di saluti dopocena, anche con Mohamed che dopo un giorno è riapparso, una parte di noi parte domani, un’altra parte lunedì mattina.


9 dicembre, sabato: Aeroporto di Dakhla, bellissimo, nuovo e pieno di bandiere marocchine. Decolliamo regolarmente, poi Casablanca, quindi connessione del volo per Roma, un altro viaggio è finito, e in Italia fa sempre più freddo.