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Arabia Saudita

 

Guardatela dall’alto, un enorme rettangolo giallo circondato per ¾ dal mare, circa 3500 km di costa, solo deserto, senza corsi d’acqua permanenti, polvere e sabbia, quasi 35 milioni di cittadini distribuiti nelle poche grandi città: il sesso femminile è omogeneizzato dentro ad una lunga tunica nera che lascia scoperti piedi e mani bellissimi, e occhi misteriosi. Tutto questo enorme rettangolo è una terra santa per l’intero Islam, qua c’è Medina luogo di nascita del profeta Mohamed e la vietata Mecca, il luogo santo per eccellenza, la meta finale del pellegrinaggio “Hajj”. Qua nasce la corrente islamica wahabita, la più estrema ed ortodossa che tanto sangue ha sparso per il mondo, il saudita più famoso al mondo è Bin Laden, e questo regno, il cui nome corretto è KSA (Kingdom of Saudi Arabia) è l’unico al mondo a portare il nome della famiglia regnante, i Saud appunto, i cui antenati, soprattutto re Abdul Aziz, furono gli artefici dello Stato attuale.

Il Regno ha aperto al turismo nel settembre 2019, poi il covid ha bloccato tutto: la ripresa c’è stata da uno o due mesi. Io ho pianificato un itinerario particolare soprattutto nella prima parte nel deserto all’estremo nord, e il risultato è stato quello di un viaggio pionieristico, eccitante sicuramente ma imprevedibile, oggi a posteriori inserirei delle piccole modifiche che tenterò di illustrare in questo racconto.

L’ Arabia Saudita negli ultimi anni ha fatto tanto verso la modernità, ha iniziato quel processo di affrancamento dal medioevo islamico anche se la strada è ancora lunga, i cambiamenti però vanno fatti gradualmente, altrimenti come insegna la storia, le sbornie improvvise generano i mostri. Il turista X che gira il Paese troverà tante contraddizioni, molti siti aprono e chiudono senza preavviso, molte sono le restrizioni governative, la mano occulta del Principe Mohamed Bin Salman Saud tieni i fili di tutto. Lo stesso turista vedrà cantieri aperti ovunque soprattutto al nord dove è partito il progetto “NEOM 2030” una città dal nulla, una smart city digitale, tutta green, tutta incredibilmente futuristica, vedrà poi meravigliose opere ma accanto ad esse anche tanta plastica, immondizia e case fatiscenti. Diciamo che l’apparire in Arabia Saudita vale più dell’essere, all’improvviso il suolo li ha inondati di petrodollari, e le quattro zampe del cammello si sono trasformate nelle quattro ruote di una Ferrari, il genio della lampada aveva fatto la sua magia.

Infine c’è la storia di questo nostro rettangolo giallo: probabilmente le nuove rivisitazioni archeologiche sui luoghi della Bibbia e di Mosè nel particolare trovano molte più corrispondenze qui che nel Sinai, in Egitto. Poi crederci o meno è sempre un atto di fede e non di scienza: stiamo parlando di fatti, se accaduti, di 3000 anni fa, quindi impostate la vostra mente in modalità romantica, fatela sognare, e sentirete il bastone di Mosè nel silenzio di una notte stellata nell’Hisma Valley. Poi dopo la Bibbia, altre civiltà, quella di Dedan, quella di Lihayan, quindi ecco i più famosi Nabatei, i ricchi commercianti di incenso, che oltre a Petra in Giordania, ci hanno lasciato Maydan ed Hegra in Arabia Saudita. L’imperatore Traiano fece dell’Arabia una provincia romana, poi venne alla luce il profeta Mohamed e gli diede la santità eterna, quindi gli ottomani fino alle imprese di Lawrence d’Arabia a cui seguì le fortune della famiglia Saud e l’attuale Regno.

Sabato, 4 dicembre: in realtà si parte venerdì sera, 2 voli quasi paralleli, da Roma e da Milano decollano poco dopo la mezzanotte, e raggiungono Jeddah più o meno alle 7 del mattino, qui ci riuniamo, il gruppo è finalmente unito per prendere il volo di connessione per Riyadh dove atterriamo alle 11:40. Fate attenzione, non so per quale motivo, i bagagli seppur al check-in di partenza vengono spediti alla destinazione finale: a Jeddah, dopo il controllo passaporti e immigrazione, vanno ritirati e subito dopo imbarcati sul nastro per Riyadh. Il “King Khalid Airport” di Riyadh aperto dal 1983, ha 5 terminal, di cui 3 in uso e uno esclusivo per la famiglia reale, inoltre fate caso alla torre di controllo, è la più alta del mondo. Dopo aver ritirato tutti i bagagli, prima di uscire passiamo molto tempo al negozio della “STC” che vende schede telefoniche, consiglio a chiunque di acquistarne una poiché in Arabia Saudita sarete così sempre raggiungibili e connessi spesso anche in 5G. Consigliò altresì di cambiare anche i soldi, poiché trovare cambi non è facile.

Ci trasferiamo con un comodo bus da 54 posti, all’Hotel “Tulip Inn”, siamo lì alle 15:30, un’ora di riposo e sistemazione nelle stanze e poi iniziamo il tour vero e proprio: la prima cosa che vediamo e il “National Museum” molto grande ed arioso ripercorre un po' tutta la storia del regno Saudita, dai numerosi oggetti neolitici alle trivellazioni petrolifere dell’ARAMCO. Si è fatto buio, ed è arrivata l’ora giusta per salire in cima alla “Kingdom Tower”, completata nel 2002, è composta da 41 piani, 45 ascensori, 302 metri di altezza, e come design, nominata il più bel grattacielo al mondo. Per raggiungere lo “sky bridge” è necessario prendere due ascensori, che impiegano pochi secondi ad arrivare, e poi con lo sguardo abbracci tutta la metropoli, le innumerevoli luci di Riyadh.

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domenica, 5 dicembre: oggi avremmo dovuto visitare “Al Dir’Iyya” la cittadina in fango dove nacque la monarchia saudita ma è chiusa a tempo indeterminato perché praticamente la stanno trasformando in un’attrazione turistica, avremmo dovuto visitare “Edge Of The World” la falesia a picco nel deserto ma anch’essa è chiusa a tempo indeterminato dopo la tragedia dei ballerini italiani morti il mese scorso. L’ Arabia Saudita è così, non date per scontato niente, le chiusure sono frequenti, e dipendono sempre dall’autorità governativa. Quindi abbiamo l’intera giornata per visitare il “Masmak Fort” il cuore del vecchio quartiere,

una fortezza di 150 anni, dove il re Abdullah Aziz Saud iniziò la conquista di tutto il regno, oggi un museo celebrativo della famiglia. Poi passiamo un po' di tempo nel vecchio “souq” che a posteriori mi è sembrato meglio di quello di Jeddah, almeno per gli acquisti. Quindi un buon pranzo in un ristorante libanese, prima di recarci in aeroporto ci fermiamo al “decathlon” saudita, quindi verso il volo per Tabuk che però partirà con due ore di ritardo con il risultato di essere in albergo a mezzanotte inoltrata.

Tabuk, oggi una grande città, è da sempre una stazione di sosta per tutti i pellegrini egiziani, siriani e ottomani; inoltre i musulmani di tutto il mondo visitano la città poiché il profeta Mohamed qui si recò a pregare e il 9° capitolo del corano, la sura “Al Tawba” qui fu rivelata e menzionata in molti detti (hadith) del profeta. Tuttavia in tutta l’area di Tabuk ci sono testimonianze umane dalla preistoria, poi intorno al 1000

a.C. l’attività nella provincia aumentò sensibilmente poiché sulle rotte carovaniere della via dell’incenso: i grandi imperi (romano, persiano, babilonese, assiro, egiziano, greco) consumavano grandissime quantità di incenso per i rituali religiosi.

 

lunedì, 6 dicembre: finalmente inizia l’avventura, prendiamo le jeep, e si parte per il deserto dove dormiremo 4 notti. Da Tabuk scendiamo 80 km a sud per la “Desi Valley” un canyon meraviglioso tra le montagne Qaraqir, per molto tempo è rimasto nascosto poiché fuori dalle rotte turistiche, all’inizio permette un trekking di 1 ora lungo il letto sabbioso di un fiume secco dove non si cammina bene, poi all’improvviso l’acqua fuoriesce e si va avanti solo con il fuoristrada. Nel canyon si entra ad est dove le pareti rocciose sono alte 100 metri e si esce dalla parte opposta ad ovest dove le pareti raggiungono i 500 metri; palme, cespugli, giunchi, accompagnano tutta la passeggiata. In tutto rimaniamo in queste splendide gole circa 4/5 ore: dall’uscita ad ovest si riprende subito l’asfalto e si continua per la strada 8756, finché alla stazione di benzina si gira a destra e si risale verso nord lungo la N80. Risalendo, bisogna fare molta attenzione per trovare la deviazione a sinistra che dopo un solo km di pessima strada, ti porta al canyon “Al Shaq” letteralmente “lo strappo”: qui appunto le forze tettoniche hanno proprio strappato la terra, si possono mettere i piedi proprio nel punto di partenza che poi si allarga e arriva ad una profondità di circa 300 metri, è un qualcosa di veramente meraviglioso misto al mostruoso. Purtroppo arriviamo a mettere le tende con il buio e soltanto al mattino godremo della bellezza attorno a noi, siamo nella zona del “Bajdah Desert Castle”, incastonati tra maestose rocce di arenaria rossa.

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martedì, 7 dicembre: smontato e caricato tutto il campo, dedichiamo l’intera mattina alle numerose iscrizioni e pitture rupestri dell’Hisma Valley. Nella zona viene spesso raffigurato il bue, forse emulando il vitello d’oro? Poi ci sono idoli, una coppia con collana che sembra risalga a 6000 anni fa, e numerose scritte: non dimentichiamo che questa zona continuum geografico del Wadi Rum giordano, era un punto di passaggio per le vie carovaniere, infatti le scritte hanno carattere “kufico”, sarebbe l’arabo arcaico che prende il nome dalla città di Kufa in Iraq, caratteri nabatei e caratteri “hashemiti” ovvero i discendenti di Hashem il bisnonno del profeta Mohamed, gran commerciante e organizzatore di carovane.

Imponente è il muro del “Wadi Dham” con alcuni idoli raffigurati ai suoi piedi, poi grazie ad una scala in ferro saliamo in cima ad una “guelta”, le sue pareti di arenaria sono così modellate dall’acqua che sembra di essere in un fondale marino dai colori opposti. Tentiamo di salire su una duna ma le nostre auto non sono abbastanza per simili pendenze, finché ci fermiamo per un thè, datteri e snack vari in una fattoria di cammelli, qui ci offrono anche del latte appena munto, e devo dire che è molto buono, soprattutto magro.

Dopo il pranzo, una delle meraviglie di questo deserto, il “Cat-Tar Arch”, un meraviglioso arco di arenaria, molto più bello se visto da dietro poiché è come se incornicia la vista su tutta la valle, a salire su ci vogliono 10 minuti. Dopo l’arco ci avviciniamo alla zona del “Jebel Al Lawz” ovvero il Monte Sinai saudita, nel frattempo le auto sono aumentate, siamo una carovana di 7 jeep, ma con il numero aumenta anche la confusione, tanto che impieghiamo una mezz’ora a ritrovare la jeep cucina girando tra wadi sabbiosi. Cena e poi chiacchere attorno al fuoco, per poco però, perché fa particolarmente freddo.

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mercoledì, 8 dicembre: giustamente il giorno della madonna inizia pure la parte “biblica” di questo viaggio. Innanzitutto va fatta una doverosa premessa, ufficialmente il vero Monte Sinai è in Egitto, tuttavia nuove correnti archeologiche soprattutto francesi, si sono spinte ad ipotizzare che i luoghi di Mosè siano centinaia di km più a sud, in Arabia. Se l’apostolo Paolo nella lettera ai Galati 4:25 si spinge a dire “Il Monte Sinai è in Arabia” non può essere questa una prova ma ha iniziato a sollevare il dubbio, ed effettivamente, in tutta l’area del Jebel Al Lawz fin giù alla terra di Maydan direttamente citata nella Bibbia come luogo dove Mosè conobbe sua moglie Zipphora le corrispondenze sono numerose. Andiamo però per ordine, giorno per giorno.

Il primo luogo che visitiamo è il “Golden Calf Altar” che è si trova praticamente ai piedi del “Jebel al-Lawz”, ovvero l’altare del vitello d’oro di Aronne: il popolo d’Israele vedendo che Mosè non tornava dalla montagna e persa la fiducia in lui, disse a suo fratello Aronne di creare un nuovo Dio che possa camminare alla testa del popolo d’Israele. Allora vennero fusi i pendenti d’oro del popolo per ottenere appunto il vitello d’oro, il nuovo idolo pagano. Ma il Dio d’Israele ammoni Mosè di tornare immediatamente perché il suo popolo si era pervertito, il riferimento è al libro dell’Esodo 32. Quest’area archeologica composta da grosse pietre l’una sopra l’altra, può effettivamente ricordare un altare, numerose sono le incisioni rupestri che raffigurano bovini, ma la particolarità sta nella testa che ricorda in tutto e per tutto il dio egiziano Hator, e il popolo d’Israele veniva appunto dall’Egitto, quindi aveva una memoria figurativa egiziana.

A poche centinaia di metri dall’altare, c’è quello che viene identificato come l’altare di Mosè stesso, costruito in una valle, poco sopra ad un corso d’acqua ormai secco, sono rimasti i basamenti di quelle che dovevano essere 12 colonne a rappresentare le 12 tribù d’Israele, colpisce il marmo con cui furono realizzate, una pietra pregiata sicuramente non facile da trasportare fin lì, e utilizzata solo per costruzioni importanti. Dall’altare di Mosè inizia anche il percorso tutto in salita e per nulla segnalato che porta alla grotta del profeta Elia, praticamente un buco nella montagna, non è facile e non è un percorso adatto a tutti, è una pietraia, bisogna fare attenzione a non far cadere sassi in testa a chi è dietro di noi, sono 400 metri circa di dislivello e ci si impiega circa 3 ore per salire e scendere andando molto tranquillamente. Qui il profeta Elia si rifugiò per incontrare Dio come qualche centinaio di anni prima aveva fatto Mosè sulla stessa montagna ripercorrendo

il suo viaggio nel deserto per 40 giorni e 40 notti, e, <<…dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna>> dal 1 libro dei Re, cap.19. Soltanto una parte del gruppo con me è salita alla grotta di Elia, quando torniamo giù, giusto il tempo di bere un thè caldo e subito in jeep per raggiungere la vetta del “Jebel Al-Lawz” l’unico posto in Arabia dove talvolta cade la neve. Non si può salire fin su perché c’è uno sbarramento militare, ci fermiamo a 1900 metri, tuttavia dall’alto si ha una vista che porta lo sguardo fino alla Giordania.

Scendiamo nuovamente dalla montagna e piantiamo il campo in quello che loro chiamano “desert Z”, tra suggestive gole di arenaria che fanno da riparo per il forte vento. Stasera è la serata della carne di cammello con riso e coratella di cammello, tuttavia possiamo gustarla poco, poiché disturbati dal vento e dal freddo.

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giovedì, 9 dicembre: a poche centinaia di metri dal nostro campo, c’è l’ “Alaqan Red Canyon” un canyon strettissimo ma molto alto, rosso intenso che subito si perde tra le tenebre del buio: le rocce sono piene di iscrizioni, recenti e antiche, peccato invece per la spazzatura da cui è invaso.

Ora si ritorna sull’asfalto, direzione verso il mar Rosso, con deviazione per la “Split Rock”, qui però bisogna avere una forte Fede per crederci, trattasi infatti di un’enorme roccia in cima ad una collinetta spaccata in due: il popolo d’Israele aveva sete nel deserto e Mosè con il suo bastone spacco questa roccia da cui uscì l’acqua, Esodo cap.17. A salire fin su alla spaccatura ci vogliono 10/15 minuti, il posto al di là delle suggestioni bibliche, è veramente molto bello. Per raggiungere il mare percorriamo la nuova strada in costruzione che sarà una delle arterie di collegamento di NEOM2030 il faraonico progetto di costruire una città dal nulla completamente dipendente da energia rinnovabile, una città del futuro. Raggiunto il mare, della nuova città non c’è ancora traccia ma ovunque si vedono lavori e cantieri aperti, impressionante.

Visto il clima estivo che abbiamo appena goduto alla “Split Rock”, l’idea era quella di raggiungere il mare e fare il bagno, ma qui invece c’è un vento fortissimo e quasi non si resiste sulla spiaggia in corrispondenza del “Titanic” d’Arabia, con molta fantasia, trattasi di una nave varata a Leeds dopo la seconda guerra mondiale, la “Georgios G.”, passata poi ad un armatore saudita trasportava fluoro, si incagliò nella barriera corallina, prese fuoco, e dal 1979 è rimasta lì, oggi trasformata in attrazione turistica. Si trova pressappoco a 50 km a sud dalla città di Haql. Ormai il pomeriggio è andato, quindi piuttosto che campeggiare sulla spiaggia, decidiamo di avvicinarci al sito di Maydan che da qui dista circa 120 km, per poi visitarlo l’indomani.

Ultima notte in tenda, sicuramente la più calda di tutte, festeggiata con un buon pesce cotto alla brace.

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venerdì, 10 dicembre: oggi iniziamo la giornata con il sito archeologico di “Al Bad” che dovrebbe corrispondere all’antica città di Maydan dove Mosè trascorse 10 anni: secondo la Bibbia, il profeta Jethro riconobbe in Mosè un’anima pura e gli diede in sposa sua figlia Zipporah. Successivamente Maydan divenne una città nabatea di cui ancora oggi ne rimane la necropoli, composta da circa 30 tombe: in tutta l’Arabia Saudita sono 3 le necropoli Nabatee, la più famosa Hegra, appunto Maydan e Dumat Al-Jandal all’estremo est del paese. Maydan è un sito archeologico che si può visitare con tranquillità, liberi di entrare nelle tombe e di andare dove si vuole, tra tutte va ricordata la tomba con scolpito un capitello di ordine ionico sicuramente più recente rispetto alle altre che hanno scolpito sul frontone motivi geometrici simili allo ziggurat mesopotamico. Sempre nella città di Al Bad, prima di andarvene, c’è da visitare un pozzo attribuito a Mosè, è anch’esso un sito archeologico ma niente di imperdibile se lo trovate chiuso.

In circa mezz’ora di strada (25km) arriviamo all’oasi di Maqna, sul mare, qui, secondo la Bibbia (Esodo cap.2) Mosè dopo aver ucciso un soldato egiziano scappò e trovò rifugio nella terra di Maydan. Qui a Maqna, nel pozzo di “Al-Sa’idani” incontrò la sua futura moglie Zipporah o Sefora che stava raccogliendo dell’acqua; Mosè l’aiuto e il nobile gesto fu notato dalla giovane, che lo raccontò poi a suo padre, il profeta Jehtro. Ancora oggi in questa graziosa oasi di palme ci sono tante sorgenti di acqua cristallina. Visitata Maqna, saliamo 12 km a nord, lungo la spiaggia fino a “Tayyib Ism” il cui nome significa crepa tra le montagne, e, per concludere

la parte biblica del viaggio, sarebbe questo il luogo dove avvenne l’Esodo del popolo d’Israele, poiché le coste egiziane del Sinai sono a soli 24 km e l’acqua del fondale è relativamente bassa, circa 3 o 4 metri, magari 3000 anni fa, una bassa marea permise veramente questo prodigio. Il canyon inizia da un palmeto sul mare e poi si insinua tra pareti di granito alte fino a 600 metri, un luogo davvero spettacolare, il trekking che si può fare al suo interno è di circa 5 km. Tuttavia in questo periodo non è facile raggiungere “Tayyib Ism” poiché fa parte dell’area “NEOM2030” quindi vanno ottenuti permessi di transito e la strada è accessibile solo da sud, aggiungo che è vietato campeggiare. Tornando poi a Maqna, per altri 38 km a sud, si raggiunge “Ras Alsheik Hamid” un promontorio sabbioso all’incrocio tra il golfo di Aqaba e il mar Rosso, ed anche il punto più occidentale dell’Arabia Saudita fino al 2017 quando l’Egitto cedette le isole Tiran ai sauditi. Dalla parte opposta siamo al più famoso “Sharm Sheik” egiziano, invece questa spiaggia è famosa per il relitto “PBY-54 Catalina” un idrovolante americano del 1930 utilizzato dal miliardario americano Kendall per un giro intorno al mondo insieme ai suoi figli e la sua segretaria e qui fu costretto ad un atterraggio d’emergenza il 22 marzo 1960. I beduini del luogo però credevano fosse un attacco militare, quindi gli spararono contro e i fori sono ancora oggi visibili sulla fusoliera, e li catturarono per poi portarli a Jeddah come prigionieri dove venne chiarito l’equivoco.

Quindi ritorno a Tabuk da Ras Alsheik Hamid sono 250 km, impieghiamo circa 3 ore perché prima di Tabuk sosta al tramonto alla “Ship Mountain” un’enorme roccia di arenaria a forma di nave. Hotel, doccia, quindi in taxi andiamo a mangiare in un bel ristorante tradizionale, tutti seduti a terra, con un piattone centrale.

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sabato, 11 dicembre: oggi scendiamo a sud finalmente, infatti le temperature, iniziano a salire. Da Tabuk ad Al Ula ci sono da percorrere 300 km circa, impieghiamo 3 ore e mezza ma ci fermiamo a circa metà percorso al “Mohadan Castle” un castello della tarda era islamica del 1622 costruito per la protezione e il ristoro dei pellegrini lungo la via dell’Hajj: c’è una piscina che un tempo funzionava da cisterna d’acqua e la vecchia stazione ferroviaria ormai completamente decadente.

L’oasi di Al Ula con le sue riserve d’acqua sotterranee è da sempre un punto di passaggio lungo la via dell’incenso prima e dei pellegrini poi, alcune iscrizioni sulle tombe risalgono al 3000 a.C. Il primo regno di

cui si ha notizia è quello di “Dedan” circa 1000 a.C., a cui probabilmente seguì quello di “Lihyan”, ma a riguardo le notizie archeologiche sono ancora confuse. Poi intorno al 100 a.C. arrivarono i Nabatei che installarono il loro avamposto più meridionale ad Hegra o Madain Saleh. Probabilmente l’attuale città fantasma di Al Ula, abbandonata definitivamente dall’ultimo abitante nel 1985, è stata costruita su rovine dadanite, tanto che attualmente una parte è chiusa proprio per restauro e ricerca. Ad inizio 900 con l’arrivo della ferrovia, la popolazione di Al Ula iniziò a spostarsi lasciando quella che oggi viene denominata “old ghost town” su cui è in atto un piano di recupero turistico con bei ristorantini in stile beduino, shop e negozi di souvenir. A circa metà sulla via principale, c’è un caffè che cuoce ottime pizze bianche nel forno dancalo, provatele, sono buonissime.

Nel pomeriggio visitiamo il sito archeologico, necropoli di Dedan: innanzitutto è una grossa delusione poiché è visitabile solo da lontano, addirittura veniamo forniti di binocolo per scrutare i buchi sul muro, poi l’accoglienza è ineccepibile, c’è la guida che spiega tutto, l’autobus che ci porta, lo shop elegante, ma l’area archeologica è “off limits” e non si capisce bene il perché. Del regno di Dedan è rimasta la necropoli scavata sul fianco della montagna: fori di forma quadrata tagliata a diverse altezze e profonde 2 metri, in alcuni è riportata l’identità del defunto, soltanto due tombe hanno scolpiti sopra dei leoni di chiara influenza mesopotamica, sicuramente a sottolineare il lignaggio dei proprietari. L’altro sito archeologico compreso nel pacchetto “guida + autobus” che si acquista al “winter park” di Al Ula, è l’ “Ikmah Mountain”, in un canyon nascosto c’è una vera e propria biblioteca scolpita sulla roccia dove ogni popolo ha voluto lasciare la sua testimonianza, si va dall’alfabeto di Dedan a quello Nabateo, dal greco all’arabo kufita.

Concludiamo la giornata di visite per Al Ula all’ “Elephant Rock, alta 52 metri, per millenni acqua e vento hanno modellato questo imponente blocco di arenaria nella curiosa forma di elefante. Oggi il sito è stato elegantemente allestito con un bar, torce e luci, divanetti scavati nella sabbia, per bere un aperitivo al tramonto, l’unico neo, è l’aperitivo rigorosamente analcolico.

Stanotte si dorme nel campo tendato dell’Hegra Camp: tende beduine ricoperte di tappetti all’interno, immerse in una cornice stupenda di imponenti rocce. Anche qui ci verrà servita un’ottima cena, piatti enormi di cibo, pieni di qualsiasi salsa o verdura si possa immaginare. Un po' freddo la notte, di questi tempi conviene portarsi un sacco a pelo, nonostante vengono fornite le coperte.

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domenica, 12 dicembre: oggi finalmente Hegra, la giornata più attesa del viaggio, il sito archeologico più famoso della penisola arabica, la sorella di Petra: diciamo subito che non è possibile muoversi liberamente, bisogna ritrovarsi all’orario convenuto al “winter park” dove ieri avevamo già preso il bus per Dedan, prendere un altro bus con guida insieme ad altri turisti e si inizia la visita. Offrono un aperitivo, frutta secca, caffè e the, anche perché attualmente la zona dello shop e della stazione ferroviaria è chiusa perché stanno costruendo un hotel; la visita in tutto consiste in 4 soste, tra l’altro anche frettolose, non ti permettono di entrare nelle tombe tranne una, insomma superorganizzati ma proprio per questo deludente, poi il poco che ti fanno vedere è semplicemente meraviglioso.

Hijra nome nabateo, Hegra nome romano, Madain Saleh nome attuale dal nome del profeta Saleh: i nabatei furono un popolo di commercianti coinvolti soprattutto nel traffico di incenso, ricavato da un alberello che cresce esclusivamente nell’attuale Yemen e Oman, e nell’antichità richiestissimo per le cerimonie religiose. Il popolo nabateo durò circa 400 anni, tra il 200 a.C. e il 200 d.C., la loro influenza era su tutta l’Arabia, Sinai compreso, delle stazioni commerciali le troviamo a Kos in Grecia, a Cipro fino a Pozzuoli dove nel porto viveva una fiorente comunità. Poi nel 106 d.C. Traiano conquistò il regno Nabateo che fu integrato nella provincia romana dell’Arabia Felix. La fortuna di Hegra fu determinata da due fattori: quello di trovarsi sulla via dell’incenso e le sue riserve idriche sotterrane a soli 10 metri di profondità. Fu il re Aretas IV Philopatris a cavallo dell’anno 0 a fare di Hegra la seconda città del regno dopo Petra. Naturalmente oggi rimane solo la necropoli composta da 111 tombe, di cui 94 decorate, la più piccola è alta 2.7 metri, la più grande 21.5! Gli scultori iniziavano a lavorare l’arenaria dall’alto staccando blocchi che poi venivano utilizzati nella costruzione della città vera e propria. Mentre a Petra le tombe più antiche sono del 50 a.C., ad Hegra iniziarono 50 anni dopo. Stili diversi si sovrappongono: le strutture simmetriche a scala sono tipicamente mesopotamiche (i merli) mentre metope e triglifi, capitelli, pedimenti sono di ispirazione greco-romana. I morti venivano seppelliti nudi, con una collana di datteri freschi attorno al collo, avvolti su tre lenzuoli impregnati di resina di cui il più interno rosso. Tutte le tombe monumentali guardano verso la città esse erano destinate ai più potenti, per il popolo sono state ritrovate più di 2000 tombe scavate nel terreno o nella roccia. Mentre a

Petra solo il 2% delle tombe porta iscrizioni, ad Hegra i 2/3 hanno iscrizioni in caratteri nabatei. Di solito è scritto il nome del proprietario e dei familiari che lì hanno il diritto di essere sepolti, quasi tutte sono state scavate tra il 1 e il 75 d.C., tranne una dove un uomo menziona la sepoltura della madre nel 267 d.C., dal 106

d.C. iniziano a comparire iscrizioni greche e latine.

Quindi eccoci al “winter park” dove è possibile fare colazione, mangiare e aspettare l’autobus di riferimento: la prima sosta è al “Qasr Al Farid” letteralmente palazzo della fanciulla ha la facciata tombale più grande di tutti, ma soprattutto è conosciuta come il “Castello Solitario” poiché è nel mezzo del nulla su un unico blocco, probabilmente l’immagine iconografica più celebre del sito archeologico; la tomba fu costruita nel 100 d.C. e si ritiene che sia di Lihyan figlio del re Kuza. Seconda sosta al gruppo di tombe “Jabal Al Banat”, sono 31, tutte ricavate da un unico blocco di arenaria, soltanto in una è permesso entrare, peccato che non è possibile visitarle tutte e che la guida dopo aver spiegato mette fretta, bisogna risalire in autobus. Terza sosta a “Al Diwan” che non è una tomba ma un luogo di socialità: la roccia è stata scavata e all’interno ricavata una sala con delle panchine dove sedersi, una specie di triclinio romano, dove probabilmente si cantava, si ballava, si consumava del cibo come datteri, fichi, melograni, olive. Quarta e ultima tappa, al gruppo di tombe del “Jebel Al-Ahmar”, molto ben conservate ad eccezione della parte inferiore probabilmente erosa da alluvione improvvise nei secoli: in questo gruppo di tombe molto bello va ricordata ai fini archeologici e di ricerca la numero 117, in essa sono stati rinvenuti una notevole quantità di ossa, oggetti, materiali e una collana di datteri forati. Questa è stata la nostra visita, durata all’incirca 2 ore 30 scarse, fosse stato per me ci avrei trascorso 5 ore, ma tutto è già confezionato prendere o lasciare. Ritorniamo al nostro bus, nessuno ha voglia di mangiare perché avevamo i panini della colazione, quindi affrontiamo il lungo viaggio verso Yanbu’: in tutto sono 387 km, ci vogliono circa 5 ore e la strada non è affatto buona, piena di curve per un lungo tratto. Sistemazione in hotel, separato dal mare dalla strada e dall’infinito lungomare fatto di giardini e giochi per bambini, affollatissimi la sera.

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lunedì, 13 dicembre: giornata libera, riposo. Avrei immaginato di passare la giornata in spiaggia visto che è proprio di fronte al nostro hotel, ma dopo un bagno inconsapevole, sono stato richiamato dalla polizia locale, poiché su tutto il lungomare di Yanbu non è consentita la balneazione, tranne in un’area apposita, circa 200 metri, dove c’è un bagnino che controlla la nostra sicurezza. Invece devo accontentarmi di piscina e massaggi per arrivare alle 17:00 del pomeriggio, ora del raduno di gruppo per le visite.

Prima sosta al mercato del pesce, ricco di tante varietà e differenti prezzi in funzione della freschezza, volendo è possibile anche acquistarlo, farlo pulire quindi cuocerlo al momento. Il capannone del mercato si affaccia direttamente sul porticciolo dei pescatori, mentre a Yanbu, più a sud c’è il porto grande capace di accogliere anche navi da crociera.

Quindi, con il calare della notte, andiamo all’ Old Town, il cuore pulsante di Yanbu con negozi, ristoranti ed edifici storici quasi tutti in ristrutturazione tra cui anche l’edificio più celebre, dove tra il 1915 e il 1916 visse T.E.Lawrence, poi abbandonata perché i locali credevano fosse infestata dai fantasmi. Attaccato c’è il Souq Al Alail, meglio conosciuto come Night Souq, poiché l’unico a rimanere aperto durante la notte per soddisfare le esigenze dei pescatori che tornavano dal mare. Poi una luculliana cena di pesce, davvero tanto e fresco poiché precedentemente comprato al mercato.

L’Hijaz e Lawrence d’Arabia: Hijaz ovvero “la barriera” è la regione nord occidentale della penisola araba e comprende le città di Mecca, Medina, Tabuk, Ta’if e Yanbu, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella nascita e nello sviluppo dell’Islam. Nel 1900 si pensò alla costruzione di una ferrovia che da Costantinopoli, attraverso Damasco, arrivasse fino alla Mecca per portare i pellegrini alla città santa; tuttavia l’ultimo tratto non fu mai realizzato ed oggi rimangono solo vecchie stazioni e locomotive abbandonate. Durante la prima guerra mondiale sezioni della ferrovia furono staccate e manomesse da T.E. Lawrence e i suoi alleati arabi, e nel 1920 il progetto fu definitivamente abbandonato per evitare di lasciare agli ottomani un corridoio di ingresso in Arabia per conquistarla. Il nome della regione sarà per sempre legato a Lawrence d’Arabia padre del nazionalismo arabo che guidò i beduini all’indipendenza dall’impero ottomano, instaurando il regno “Hascemita” tra il 1916 e il 1925. Naturalmente l’Hijaz è anche la regione più ricca del paese, poiché la monarchia ha concentrato qui gli investimenti maggiori, essendo il ponte di passaggio dei pellegrini.

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martedì, 14 dicembre: oggi andiamo all’isola di Al Baridi: ci sono due modi di raggiungerla, il primo dal porticciolo “La Marina” di Yanbu e da qui ci vuole circa 1 ora di motoscafo, oppure come abbiamo fatto noi, salire a nord con l’autobus per circa 40 minuti e poi imbarcarci su un motoscafo, da qui ci vogliono 10/15 minuti. Il tempo è lo stesso, i prezzi pure, oscillano tra i 70 e gli 80 dollari. L’isola Al Baridi è una striscia di sabbia bianca , il cui perimetro sarà di 300/400 metri, il mare è bello, pulito e balneabile, la barriera è molto vicina e si può fare tranquillamente snorkeling per tutto il tempo che si rimane. Solitamente, e non si capisce il perché, ti fanno rimanere sull’isola da un minimo di 2 ore ad un massimo di 3, dopo si deve ritornare: solitamente le barche hanno a bordo ombrelloni, sdraio, acqua e succhi di frutti per tutti. Nell’area di Al Baridi è inoltre possibile il “diving”, direttamente sul posto e negli alberghi troverete agenzie che lo propongono; segnalo che ad 8/9 km dalla costa c’è lo “Iona Shipwreck” il cui punto più a fondo è 50 metri ma con lo snorkeling si riesce a vedere l’albero e la prua.

Dopo l’isola, trascorro due ore alla famosa spiaggia di Yanbu dove è consentita la balneazione: ci sono le boe che delimitano, il bagnino, insomma mi sento veramente più al sicuro. A posteriori, avrei tolto una notte a Yanbu aggiungendola altrove magari a Medina: la mia idea era quella di relax in spiaggia che in un viaggio è sempre necessaria, tuttavia non potevo sapere dei mille vincoli dell’autorità saudita essendo il mio viaggio tra i pochi, forse il primo di italiani, che arriva fin qui.

mercoledì, 15 dicembre: Incredibile, a Yanbu piove a dirotto!!! Una giornata completamente diversa dalle precedenti e siamo stato molto fortunati, anche perché oggi ci aspetta il lungo trasferimento per Jeddah in autobus, procediamo piano su strada bagnata, un’unica sosta per fare rifornimento e arriviamo all’hotel “Dyar Al Hamra” alle quattro del pomeriggio. Nel frattempo le regole covid in Italia sono cambiate, il 15 dicembre la data del nuovo DPCM, così il tampone rapido non è più sufficiente per lasciare il paese ma è necessario il tampone molecolare: purtroppo sono questi gli imprevisti dei nostri tempi se si vuol viaggiare, ragion per cui, nonostante Jeddah a mio parere sia visitabile in un giorno e noi abbiamo avuto molti tempi morti, è consigliabile prendersi sempre una giornata proprio per queste evenienze: faccio un esempio, il venerdì in tutta l’Arabia è chiuso tutto come domenica da noi ed è impossibile fare tamponi rapidi, i molecolari fatti il giovedì non è detto che ci diano la risposta proprio perché è tutto fermo. Quindi attenzione!

Il tampone molecolare viene organizzato perfettamente dalla nostra guida: vengono direttamente in hotel, in una stanza tutti veniamo tamponati abbastanza velocemente e il risultato ci viene dato il giorno dopo al mattino, poiché il molecolare è valido 72 ore.

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giovedì, 16 dicembre: oggi city tour di Jeddah, partiamo innanzitutto dal nome che in arabo significa “Nonna” proprio perché a Jeddah c’è quella che viene considerata dai musulmani come la tomba di Eva considerata la nonna dell’umanità intera. Tuttavia attualmente non è visitabile, così pure come la “floating mosque” la moschea sul mare, poiché si trova all’interno del circuito di Formula 1 che si è appena concluso due settimane fa. Iniziamo con il quartiere “Al Balad” il centro storico nonché cuore pulsante di Jeddah: il nome significa “la città”, qui i vecchi edifici furono costruiti con coralli, conchiglie e argilla. Attualmente gran parte degli edifici è in ristrutturazione poiché mentre qualche anno fa l’indirizzo del governo era quello di demolire tutti i vecchi palazzi oggi si è capito che se si sceglie una vocazione turistica bisogna fare l’opposto, quindi numerosi sono i cantieri di ristrutturazione. Noi visitiamo le vie più celebri, quella delle ambasciate, l’hotel più antico costruito in chiaro stile italiano, la prima scuola costruita in Arabia, le gallerie d’arte, i negozi di spezie e profumi, stoffe e gioielli, il palazzo più celebre che ospitò anche re Abdul Aziz collocato al gate ovest, cioè quella porta che sanciva l’inizio del pellegrinaggio Hajj, attraversava tutta la città, usciva dal gate est, per poi arrivare fino alla Mecca.

Tecnica di costruzione delle case: corallo, argilla purificata prelevata sul fondo dei laghi che serve a cementare ma anche impermeabilizzare, legno di tek importato dall’India, e gesso utilizzato per decorare le porte. Le pietre venivano messe l’una sull’altra separate dal legno e gli edifici arrivano a svettare fino a 30 metri rimanendo in buone condizioni poiché la pietra corallina leggera e fragile è protetta dal legno e da uno spesso strato di calce, inoltre quasi tutti sono costruiti curvi per gettare più ombra e difendersi meglio dalle elevate temperature. Sui piani superiori solitamente c’è uno scheletro di legno detto “Rowshan” che aiuta l’aria a muoversi quindi raffredda la temperatura e permette alle donne di guardare senza essere viste dall’esterno. Il “Baab” è invece la porta, più è intarsiata e più è ricco il proprietario, circondata solitamente da una cornice di gesso. Dopo il centro storico, il mercato del pesce, molto più grande e affollato di quello di Yanbu, enorme, io amo mangiare il pesce, pulirlo e cucinarlo, ma dopo un po' il forte odore diventa nauseante. Tutta Jeddah si sviluppa principalmente in lunghezza seguendo la costa, quindi ha un lungomare chilometrico detto “Le Corniche” pieno di vita, giardini, giochi, ristoranti e soprattutto la fontana di re Fahad, la più alta al mondo fu

terminata nel 1985, il getto d’acqua marina arriva fino a 312 metri, l’acqua esce con una velocità di 375 km/h ed è visibile quasi ovunque, ma attenzione, non è sempre in funzione, solitamente la attivano al tramonto.

venerdì, 17 dicembre: l’ultimo giorno è lento, poiché innanzitutto è venerdì e Jeddah è una città fantasma, tutto chiuso, a malapena riusciamo a trovare un ristorante aperto per il pranzo, consumato lentamente e poi verso l’aeroporto internazionale per i due voli serali per Roma e Milano.

 

alla prossima avventura, Alessio Quatrini