Ascesa del Mt. Kilimanjaro (via Marangu) e del vulcano del Dio dei Masai
Ho sempre creduto di essere ammalato di “Mal d’Africa”, o perlomeno mi piace sognarlo, tanto che, raggiungere la vetta d’Africa e sentirmi per pochi secondi l’uomo più alto del continente, mi ha fatto esplodere in un pianto spontaneo e pieno di gioia per l’impresa appena compiuta. Non è stato facile, nonostante la mia giovane età, ma con nessuna esperienza di scalate in alta montagna, ho faticato veramente tanto e probabilmente sono arrivato alla meta con la testa piuttosto che con il fisico. Questo viaggio è la vetta di Uruhu Peak a 5895 m asl, il resto viene dopo, tutti noi 5 eravamo concentrati all’obiettivo e purtroppo per chi non c’è riuscito è stato molto deludente; in più abbiamo impreziosito il nostro peregrinare nel nord della Tanzania con un'altra scalata altrettanto faticosa e spettacolare anche se compiuta ad una altitudine accettabile, ovvero l’ Ol Doinyo Lengai , “il Monte di Dio”, unico vulcano ancora attivo dell’Africa Orientale che svetta come un perfetto cono sopra il lago Natron, è questa la montagna sacra del popolo Masai, si arriva fino a 2800 m asl. Quindi è stato un gran viaggio, con un piccolo gruppo motivato e perfetto. Per scalare il Mt. Kilimanjaro esistono diverse “vie”: la “Marangu” secondo gli addetti ai lavori è la più facile, non prevede l’utilizzo della tenda essendo attrezzata con i rifugi ed è consigliata soprattutto nei mesi di luglio/agosto e dicembre/gennaio, il nostro viaggio è stato fatto in giugno. Il clima sul Kilimanjaro è, naturalmente, imprevedibile, soprattutto dopo il rifugio “Mandara” in poi: noi abbiamo incontrato poca pioggia, diciamo che ci siamo bagnati perché nel mezzo delle nuvole, alternate ad ore di sole intenso oppure vento forte. Per non parlare della vetta, mi giro e vedo alle mie spalle il chiarore dell’alba ormai prossima, guardo in avanti e arriva una tempesta di ghiaccio e tutto intorno a noi si copre, un freddo mai avvertito in vita mia, tocchiamo la cima che quasi non riusciamo a scattare le foto, tanto le mani erano gelate. Quindi attrezzatevi, e bene, per sopportare freddi anche sotto i -20° C.
Il giorno dell’attacco alla cima eravamo un serpente di circa 30/40 persone fatte di luci nel buio (dalla via Marangu) che alla mezzanotte sono partite da Kibo Hut, ma soltanto 8/9 sono riuscite nell’impresa, le altre si sono ritirate mano a mano, motivo per cui si sale sempre con almeno una guida ogni due persone (noi ne avevamo 3 per 5) che riaccompagna giù chi sta male. I sintomi sono mal di stomaco, giramenti di testa, perdita dell’equilibrio, che al manifestarsi non lasciano scampo, l’unica soluzione è ritornarsi. Alcuni compiono l’ascesa con un giorno in più di acclimatamento, dormendo 2 notti all’Horombo Hut, salire e poi ridiscendere nella giornata di stand-by; noi a maggioranza abbiamo deciso di evitare il giorno in più, a me è andata bene, ma non so dirvi sull’effettiva necessità di questa strategia di salita. Oltre a noi 5, la nostra squadra era composta da 3 guide, un cuoco, un cameriere e 10 portatori: Il trek si svolge sempre lungo un sentiero ben delimitato, con pendenze notevoli solo nell’ultimo tratto, non c’è bisogno di ramponi perché non si cammina sul ghiaccio, solo di scarponi comodi, alti e ben collaudati in passato. L’acqua potete acquistarla al gate del parco prima di partire, conviene che ne prendiate 2 bottiglie a testa, poi riempite le stesse bottiglie con l’acqua che il cuoco bollirà per voi.
La 1° Tappa parte dal gate del parco a 1828 aslm e arriva fino al Mandara Hut a 2697 aslm, tempo di percorrenza di 5 ore circa, attraverso la foresta pluviale, un sentiero sempre in ombra che talvolta costeggia un ruscello, si possono incontrare delle scimmie. La 2° Tappa va dal Mandara Hut fino all’Horombo Hut a 3719 aslm, finisce la foresta e inizia la “moorland” la brughiera, quasi subito terminano
gli alberi ad alto fusto, sostituiti dall’erica arborea, macchia mediterranea, e nell’ultima parte si iniziano a vedere le straordinarie “seneci giganti” uniche al mondo, endemiche proprio del Kilimanjaro, tempo di percorrenza 6 ore circa. La 3° Tappa va dall’ Horombo Hut al Kibo Hut a 4703 aslm, gradatamente finisce la brughiera che diventa sempre più bassa e inizia il deserto alpino di alta quota, con muschi e licheni, piccoli uccellini e topolini tra i sassi, probabilmente le ultime forme di vita, oltre ai nibbi e alle aquile che volteggiano lassù, tempo di percorrenza 6 ore. La 4° Tappa va dal Kibo fino alla cima di Uhruru Peak a 5895 aslm, tempo di percorrenza 6.5 ore, è la tappa più massacrante e dura, al deserto alpino va sostituendosi il ghiaccio, le pendenze del sentiero sono notevoli, si cammina lentamente su un terreno vulcanico polveroso e molto sdrucciolevole, che talvolta può far scivolare. Prima di raggiungere la cima si supera il “Gillmans’ point” a 5681 aslm che non è altro che il bordo dell’immenso cratere e lo “Stella Point” a 5730 aslm, per entrambi oltre alla cima ovviamente, viene rilasciato il certificato di congratulazioni. Sempre la stessa giornata, dopo esser arrivati ad Uhruru Peak, si ritorna prima a Kibo Hut per un riposo di qualche ora e per mangiare qualcosa, poi si scende ancora ad Horombo dove si dorme. L’ultima tappa, infine, prevede la discesa di Horombo direttamente fino al gate del parco dove vengono consegnati i diplomi. Il ritmo durante l’ascesa è molto lento e viene scandito dalla guida di testa, non provate a fare scatti o corse in avanti, infatti l’arrivo al bordo del cratere per un curioso effetto ottico notturno sembra molto vicino ma non è così e il tempo calcolato ci vuole tutto.
Tutti e 3 i rifugi hanno bagni in comune, però, mentre i primi due, hanno rispettivamente capanne da 4 e da 6 posti letto, l’ultimo, il Kibo, offre delle camerate: c’è sempre energia elettrica generata da pannelli solari, sui letti ci sono i materassi dove dormire con il sacco a pelo, poi una grossa capanna funziona da mensa dove si mangia tutti assieme. Per i pasti nessuna preoccupazione, c’è il cuoco che cucina piatti discreti e sempre vari e il cameriere che serve ai tavoli e sparecchia, oltre alla colazione, pranzo e cena, viene servita anche una merenda nel pomeriggio.
La seconda ascesa del viaggio, ovvero quella al vulcano “Ol Donyo Lengai”, naturalmente non presenta il problema dell’altitudine quindi si può scalare molto più velocemente anche se le pendenze sono sicuramente superiori a quelle del kilimanjaro, poi non fa freddo, tranne su in cima al cratere dove una giacca a vento o un pile è sufficiente. Il problema di questa esperienza invece è un altro, cioè scendere piuttosto che salire, vi troverete su veri e propri precipizi, talmente ripidi che a volte dovrete scendere con il sedere e le mani per terra, le vostre ginocchia saranno messe a dura prova e non mancheranno le cadute e gli scivoloni a terra. Anche qui suolo vulcanico che si sgretola al passaggio, pericoloso per chi sta sotto di voi per i sassi che potrebbero colpirlo, infatti l’equipaggiamento che mi sento di consigliare, oltre agli scarponi, il caschetto, e, se soffrite di vertigini, lasciate perdere.
1° GIORNO: Atterriamo regolarmente alle 0400 del mattino a Nairobi, le pratiche di ottenimento del visto sono veloci, ritiriamo i bagagli che per fortuna ci sono tutti (Un consiglio: nel bagaglio a mano cercate di mettere quanto più possibile materiale per la scalata, in modo che, eventuali ritardi di arrivo dello zaino potrete comunque continuare tranquillamente il viaggio); aspettiamo alcune ore e alle 0800 del mattino prendiamo il bus pubblico che ci porterà ad Arusha, in Tanzania.
Arriviamo alla frontiera Kenya/Tanzania di Namanga alle 1050, compresa una sosta toilette, le pratiche in entrambi i posti di blocco finiscono alle 1130 e alle 1345 siamo ad Arusha, in albergo.
2° GIORNO: la colazione a buffet dell’albergo è abbondante, portiamo giù tutti i bagagli e alle 0800 circa si parte da Arusha con la jeep di Greysoon, il nostro futuro autista; arriviamo a Moshi alle 0930 dove acquistiamo una bombola gas, poi al gate del “Kilimanjaro National Park” dove, fatta conoscenza con le
nostre guide, Alex e Olives, e sbrigate le formalità burocratiche partiamo alle 1120. Saliamo per un sentiero molto dolce, immerso nella foresta, e alle 1245 la sosta pranzo in un area pic-nic a metà strada; è favoloso come troviamo tutto apparecchiato su una tovaglia rosso Masai hanno messo: Zuppa di vegetali, uova sode, pane già imburrato, carote, banane e muffin. Ripartenza alle 1335 e arrivo al Mandara Hut alle 1450, inizia a far freschetto e indosso il maglione. I rifugi dove ci sistemiamo sono belli, puliti e confortevoli e dopo circa un ora ci portano the, Café e pop corn per la merenda e poco dopo andiamo a fare una breve passeggiata fino al cratere Maudi, dura 40min: da qui si dovrebbe vedere la cima del Kili e del Mawenzi, ma entrambe sono incappucciate nelle nuvole. E’ particolare come in questo sentiero si nota il netto passaggio, dalla foresta pluviale sempre più rada ad una vegetazione che scopre il cielo sulla testa, fatta soprattutto di Erica Arborea. Si cena presto, alle 1830 già ci chiamano, e si mangia: Zuppa e pane, verdure bollite in un pasticcio che sembra per lo più cicoria e una specie di filetti di persico fritti, buoni.


3° GIORNO: Durante la notte ho dormito con calzamaglia e felpa, quassù a quasi 3000m di quota inizia a far freddo. Ci svegliamo alle 0700, colazione con porridge, caffè, pane, nutella, miele, marmellata, frittata e wurstel. Partiamo quindi alle 0800, il terreno è bagnato per la brina notturna ma c’è il sole; come avevo già detto, quasi subito inizia la brughiera fitta di erica e tanti fiori multicolori. Il sentiero è dolce anche oggi, ma al sole va presto sostituendosi la nebbia, o meglio siamo noi che camminiamo nelle nuvole, ed una leggera pioggia ci bagna, tanto che dobbiamo indossare una mantella impermeabile. Arriviamo al bivacco allestito per il nostro pranzo alle 1120, a circa 3400m, fa freddo, mangiamo zuppa, French toast e pollo. Si riparte alle 1230, il clima è sempre più umido e poco prima di arrivare al rifugio Horombo, iniziamo a vedere le tipiche ed uniche piante del Kilimanjaro, le seneci giganti, sono le 1345 quando prendiamo possesso del rifugio con 6 letti tutti per noi. Merenda alle 1430 con pop corn e the, ma qua al rifugio vendono anche gli snickers, i mars e la birra. Un inciso, io sono fumatore, ma quassù non mi viene affatto voglia. Prima che venga il buio, Alex e Olives ci accompagnano per una sgambata fino a Zebra Rock dove si toccano i 4000m, le nuvole sono in basso e più saliamo e più c’e il sole mentre il rifugio è invisibile, Si vedono praterie sconfinate di seneci giganti e la vetta del Mawenzi, una cima del massiccio più bassa di Ururhu Peak ma molto più difficile da scalare. La passeggiata dura 2 ore, una precisazione: la guida vi proporrà due sentieri per salire fino al Kibo Hut, uno più bello ma più lungo, uno meno bello ma più corto, ma, la bellezza del primo è tutta in funzione dello “Zebra Rock” dove comunque noi siamo arrivati il giorno prima, una parete rocciosa incredibilmente zebrata a tinte nette bianconere. Cena alle 1830 con riso e piselli, carne e verdure. A letto presto.


4° GIORNO: Partenza alle 0820 da Horombo hut; cè un bel sole che ci accompagnerà per tutta la giornata rendendo la temperatura gradevole, finché alla Sella dei venti, non ci si mette il vento appunto, a far iniziare il freddo. Dopo qualche kilometro, gradatamente alla brughiera si sostituisce il deserto pietroso d’alta montagna, con pochissime specie di fiori striscianti, qualche topolino e uccellini. Bivacco per il pranzo alle 1120 a metà strada, con il box lunch che la mattina il cameriere ci aveva consegnato. Ripartiamo alle 1200 e arriviamo al Kibo hut alle 1345, siamo a 4750m, praticamente sotto il cratere del Kilimanjaro. Fino adesso nessun problema di alta quota, certo il fiato è corto e non viene voglia di fare scatti, dentro al rifugio siamo in 12, stendiamo il sacco a pelo sui letti e dopo la solita merenda ci mettiamo un po’ a riposare, ma dormire, è veramente difficile. Avverto solamente un leggero formicolio alle dita e al viso quando sto disteso, ma se mi alzo passa. Fa sempre più freddo e si sta vestiti dentro il sacco, alle 1730 servono la cena, con zuppa, orribili spaghetti, carote e piselli. Già alle 1845 le luci si spengono e tentiamo di dormire, non è certo facile ma perlomeno è un discreto riposo. Quando esco fuori a far pipì, durante queste lunghe ore notturne, in alto c’è un favoloso cielo stellato, una leggera brezza e alle spalle il massiccio oscuro del cratere, così tutto nero non sembra nemmeno altissimo.




5° GIORNO: “E’ il giorno più lungo, il giorno in cui ho faticato di più in tutta la mia vita, il giorno che ho raggiunto la soddisfazione più bella in un viaggio” , non so chi mi ha portato fin lassù, di certo la concentrazione verso un obiettivo anelato da anni e tanta è stata la paura di non farcela. Tuttavia le forze fisiche non mi sono mai mancate, salendo a volte cantavo canzoncine tanzaniane e scherzavo con le guide; superati i 5000m, la carovana di 30/40 persone che saliva ha iniziato ad allungarsi sempre di più, i primi ritiri intorno ai 5300/5400, ho guardato in faccia chi stava male e vi assicuro che non c’è altra soluzione che rinunciare. Alle 0245 sosta alla grotta di Hans Meyer, inizia a far più freddo ma la mazzata deve ancora venire, infatti, appena superato il “Gillman’s point” il freddo diventa insopportabile, tiro fuori i guanti, e mi copro quanto posso. La vera difficoltà è stata proprio il freddo, gli ultimi metri da Uhruru Peak interminabili, col ghiaccio in faccia per poi esplodere in un pianto di gioia alle 0630, alla vista del celebre cartello. Poco prima dell’alba sembrava fosse sereno, invece ci ritroviamo nel mezzo di una bufera e dopo le foto subito via a scendere, ma inizio a star male, mi fermo al “Gillmans point” ad aspettare gli altri, mangio una barretta, metto in moto lo stomaco, e mi sento sempre peggio, nausea e mal di pancia. Non so come sono sceso, e arrivo al rifugio Kibo hut alle 0900, stremato e barcollante mi addormento subito dentro al sacco a pelo per 2 ore. Alle 1100 riprendiamo a scendere, sto decisamente meglio, ma a questo punto c’è la stanchezza e le vesciche ai piedi che mi torturano, corro il più possibile per arrivare il prima possibile all’ Horombo, sono le 1330, riesco a mandare un sms in Italia, “ce l’ho fatta” e vado a dormire nella stessa capanna dell’andata. Andiamo a mangiare alle 1800, con riso, frittelle di mais, zuppa e pollo e poi a dormire filato fino al mattino dopo.




6° GIORNO: solo stamattina mi rendo conto dell’impresa che porta in me tutta la felicità durante la passeggiata a valle, che scelgo di fare da solo e di corsa per alcuni tratti. Partiamo alle 0730, arrivo al Mandara Hut alle 1015, qui riprendiamo subito la discesa e arrivo al gate del parco alle 1240. Aspettiamo un po’, c’è la consegna dei diplomi, ci viene preparato il pranzo con una zuppa di banane, carote e patate; distribuisco le mance e saluto di commiato con tutto lo staff che in questi giorni ci ha accompagnato, veramente tutti bravi, in primis i portatori, che salgono carichi e vanno molto più veloci di tutti noi messi assieme. Greysoon ci stava già aspettando con la sua jeep, saliamo e alle 1630 siamo di ritorno ad Arusha, una doccia infinita, prima di uscire per la cena, stavolta prendendo un taxi fino al ristorante …. è il mio compleanno ed offro la cena al gruppo, peccato per la torta, stasera me la meritavo !!!!
7° GIORNO: L’indomani partiamo da Arusha alle 10:00 del mattino, finalmente con calma, direzione Lago Natron. La strada è bruttissima, aiutiamo un pulmino ad uscir fuori da un pantano e trionfali le grida di giubilo dei passeggeri, poi ci fermiamo a far merenda al villaggio di Wasso, con ottimi spiedini e patate fritte e una birra Kilimanjaro. Alle 1330 arriviamo al camping del lago Natron, insolitamente con un po’ d’erba e alberi di acacia in un paesaggio così bianco, secco e polveroso. Alle nostre spalle imponente il vulcano Ol Donyo Lengai che stanotte scaleremo, mangiamo qualcosa e alle 1500 partiamo per le cascate, a piedi distano al massimo 2 km, c’è da fare un guado quindi portate dei sandali, e volendo ci si può tuffare sotto e fare il bagno. Dopo le cascate, prima del tramonto andiamo a passeggiare al Lago Natron, i fenicotteri sono a pochi passi da noi, ma volano via, tutti insieme, in perfette squadre geometriche, appena ci avviciniamo troppo. A cena Greysoon ci prepara uno spezzatino di agnello, polenta di mais e verdure. C’è un vento caldissimo che ci investe, quasi vorrei dormir fuori con il materassino ma sarebbero troppi gli insetti a farmi visita, quindi scoperchio la tenda e ci riposiamo per 2 ore….alle 2300 la partenza !!!
8° GIORNO: Altra fatica, partiamo alle 2300 con la jeep e la guida Masai che ci accompagna, Denis. Alle 2340 siamo alle pendici del vulcano e noi 6 solitari iniziamo a salire con le lampade frontali, fa caldo e fin quasi su alla cima rimango in maniche corte. Anche qua è terribile l’effetto ottico del buio, sembra sempre di essere ad un passo invece no, il sentiero non esiste e la guida è fondamentale per non ritrovarsi in un crepaccio senza vie d’uscita e ritornar indietro, tanti i burroni ai lati, le pendenze sono elevatissime e spesso si sale a carponi. Siamo quasi in cima alle 0530 ma aspettiamo al riparo in una grotta fino alle 0600 per salire su al cratere all’alba, il suolo è cambiato, pieno di zolfo bianco che sembra neve, e salendo oltre iniziano le prime fumarole, alcuni buchi che sparano aria caldissima come un phon, e poi, lassù, l’anello del cratere e strettissimo, si può stare a cavalcioni con una gamba dentro e una fuori, da giù in fondo il terribile e pauroso gorgoglio della lava che ogni tanto esplode con i tanti fumi che si alzano. E’ un posto che fa paura, da una sensazione incredibile di piccolezza umana di fronte alla forza spaventosa della natura. Ma il
vero problema deve ancora venire, ovvero scendere, cado a terra innumerevoli volte anche perché le gambe sono ormai stanche e mi cedono, è ripidissimo, e fatelo solo se non soffrite di vertigini. Ritorniamo alla jeep alle 1120, praticamente sia per scendere che per salire ci abbiamo messo lo stesso tempo, stavolta ancora più sfiniti. Pranzo sul lago Natron con un po’ di scatolette, poca roba, e ripartenza per Arusha alle 1400 dove arriviamo alle 1800, viaggio più che mai soporifero, dormiamo tutto il tempo. Una doccia e via col taxi al Ristorante dell’altra sera, che evidentemente abbiamo apprezzato. Tutti siamo soddisfatti anche di questa scalata alla montagna sacra del popolo Masai, e la ciliegina sulla torta che completa un viaggio duro ma ricco di soddisfazioni.


9° GIORNO: giovedì: belli e riposati partiamo dall’albergo alle 0900, in primis andiamo a cercare la famosa pietra “tanzanite” unica al mondo e tipica del monte Kilimanjaro, 1000 volte più rara di un diamante, dalle tonalità che vanno dal blu al viola, … , ci consigliano di andare al “Tanzanite One” di fronte all’Arusha Stationary, praticamente una banca con notevoli sistemi di sicurezza, le pietre partono dai 150 USD fino ai 2000/3000 USD, alcune sono già montate ma qua conviene comprare la pietra; ne prendo una, e mi rilasciano il certificato di garanzia, rintracciabilità, etc…sinceramente mi sono sentito più sicuro ad acquistare in un luogo del genere piuttosto che tentare il “falsone” per strada. Dopo andiamo al “Masai Market” a spendere gli ultimi scellini TZH e completiamo i regali da riportare. Pranzo in albergo con bistecca al pepe verde e partenza alle 1400 con il bus pubblico per Nairobi, pratiche di frontiera e visto di solo transito a 10 USD, e arrivo in aeroporto alle 1910. Ceniamo in un ristorantino vicino alle partenze, prendendoci tutto il tempo possibile poiché l’attesa è tanta, l’aereo parte alle 0400 del mattino, e passiamo le ultime ore sui sedili della sala d’aspetto.
10° GIORNO: saluti veloci e con qualche lacrima a Il Cairo per la coincidenza, tra noi romani e milanesi, poi volo di ritorno regolare per Roma, alla prossima Avventura !!!!!!!!!!!