Dancalia
1° GIORNO: è il giorno del volo per Addis Abeba via Istanbul, con la Turkish, tutto regolare. Appena scesi dall’aereo prendiamo il visto al costo di 17 euro, e subito dopo, nella fresca notte dell’altopiano di Entoto c’è la nostra guida, parlante un italiano perfetto, ad aspettarci.
2° GIORNO: non ho dormito bene, mi capita spesso la prima notte del viaggio. Al mattino presto, giù nella hall del lussuoso hotel “Saro-Maria” c’è Engida, la prima sorpresa: con Engida ci siamo conosciuti 4 anni prima, era la mia guida per un altro viaggio in Etiopia, e siamo diventati amici, lo avevo avvisato del mio arrivo, lui non aveva mai risposto ed ha voluto farmi una sorpresa, graditissima, da amico. Abbiamo bevuto un café insieme, poi ognuno per la sua strada, un giorno ci rivedremo. Partiamo verso le 10 dall’hotel, avevo da sbrigare le pratiche organizzative e logistiche con l’agenzia; dopo un po’ di traffico iniziale, una lunga superstrada quasi deserta ci porta fino a Nazareth, la città più islamica d’Etiopia nonostante il nome, e per le 12 siamo tutti a pranzo, piccante e abbondante con injera. Ripartiamo per le 14 del pomeriggio, dormo da subito finché non siamo davanti al gate del parco dell’Awash, siamo scesi a valle di ben 1400 metri; il parco è modesto, si avvistano abbastanza facilmente Kudu, Dik Dik, bellissimi orici dal manto grigio e facoceri sempre di corsa. Da un altura, tra le rovine di un vecchio lodge turistico, vediamo scorrere nel mezzo di un canyon il fiume Awash e un suo affluente, che rappresentano anche il punto di confine di 3 regioni etiopi. Qualche chilometro più giù, il fiume Awash fa un bel salto generando le cascate omonime, e noi dormiamo proprio lì vicino, ascoltando il fragore incessante dell’acqua e subendo le punture altrettanto incessanti delle zanzare. A queste latitudine fa buio più o meno alla stessa ora, le 18:30, ceniamo tutti insieme all’aperto, pollo, una minestra di lenticchie, verdure cotte e birra Saint Georges.


3° GIORNO: oggi la prima destinazione sono le sorgenti di Failou, dove gli Afar portano le bestie a bere e loro a lavarsi; dall’Awash la strada è tutta sterrata, il viaggio è pieno di sobbalzi e alla fine ci fermiamo su un ampia radura paludosa, per vedere le sorgenti bisogna ancora camminare. L’acqua è ferrosa, le pozzanghere sono arancioni, nere e rosse, si cammina saltellando qua è là, finché nel mezzo di un boschetto di palme dum c’è un minuscolo lago di acqua calda e turchese, un oasi
nascosta e leggermente fumante. Da Failou ce ne andiamo alle 11:00 lasciando il posto ad una mandria di bovini guidata da un nervoso pastore Afar, oggi per il pranzo abbiamo dei panini preparati dal lodge ma, a tutti costi, voglio fermarmi a bere qualcosa al leggendario “Bouffet d’Aouache” di Madame Kiki. Questo ristorante conobbe la sua celebrità nel dopoguerra, trovandosi sulla linea ferroviaria Gibuti-Addis Abeba (oggi interrotta), qui i passeggeri scendevano e mangiavano da Madame Kiki, addirittura il Negus, Hailé Selaissé aveva la sua camera reale. Un luogo che porta con se la storia, anche oggi che Madame Kiki se ne è andata da 8 mesi, è rimasta la figlia dai modi eleganti e distaccati che parla un perfetto italiano. Ripartiamo da Awash alle 14:00, qualche strana gocciolina di pioggia, ma più saliamo verso la Dancalia e più il tempo migliora e le nubi se ne vanno. Inizialmente la strada è molto trafficata, grossi camion container collegano l’Etiopia al porto di Gibuti, al mare. Poi, più andiamo avanti è più ai lati della strada c’è il vuoto, durante una sosta pipì si avvicina un giovane Afar, timoroso, che al posto del pugnale ha messo il cellulare. Mastichiamo un po’ di Kat comprato a fasci per strada e si prosegue con il bolo di verdura in bocca. Arriviamo a Semera alle 19:00, qui si dorme al dignitosissimo hotel “Erta Ale” frequentato (e costruito) soprattutto da cinesi, pensavo di dormire in tenda ed invece ancora letto. Per cena injera e crema di ceci, ottima.
4° GIORNO: una colazione lentissima per mangiare pancake con caramella alla fragola squagliata, però è una bella giornata, ventilata. Si parte da Semera per Asayta, quella che era l’antica capitale Afar, dopo aver passato il posto di polizia che sorge vicino al diroccato palazzo del sultano Ibraim Dei costruito dagli italiani, lasciamo alle spalle questa dimenticata città di frontiera per raggiungere il lago Abò, dove su un grosso masso, vicino agli alligatori che fanno capolino dall’acqua, mi metto a scrivere. Nel lago Abò si riversa il fiume Awash e dalla parte opposta, oltre l’altipiano che ho di fronte c’è la Somalia francese ovvero Gibuti, dove i pastori Afar, dopo un lungo viaggio vanno a vendere gli animali al mercato. Torniamo a Semera, quindi sosta a Logia con un ottimo pranzo di pane e capretto. Qua e là sulla strada superiamo miseri villaggi di nomadi Afar e cimiteri Afar, semplici cumuli di pietre l’una sull’altra. I colori man mano che il sole tramonta diventano sempre più meravigliosi, prendono sfumature sull’ocra, sul rosso e sul giallo. Arriviamo sulle rive del lago Afdera che è già buio, ma il nostro cuoco è già arrivato e la cena è pronta. C’è una aria caldissima, un vento rovente e con la pancia piena vado a fare il bagno, l’acqua tiene a galla sotto la luna quasi piena e il cielo stellato, è tutto romanticamente straordinario. Poi accanto al lago c’è una sorgente di acqua bollente che toglie tutta la crosta del sale. Dopo il bagno è difficile prendere sonno perché fa caldo, e passiamo le ore notturne a parlare in un contesto ambientale strepitoso mentre da lontano ascoltiamo l’eco delle pompe idriche che tirano sull’acqua per le saline.


5° GIORNO: sveglio già all’alba quando il sole inizia a colorare di rosso la creste delle montagne attorno al lago Afdera, laggiù come se fossero miraggi, o forse lo sono veramente. Scendo sulla spiaggia schiumosa, bianca come la neve a scattare foto mentre la palla infuocata sale velocemente. Poi la colazione, seppellisco i miei bisogni sotto ai sassi di sale, smonto la tenda, preparo lo zaino, e partiamo per una passeggiata alle saline e il duro lavoro degli operai, da qui dopo l’intenso bianco e l’azzurro del cielo si arriva alla città baracca di Afdera, tutta lamiera e tavolacce, per fortuna nel bar più famoso hanno il frigo e bibite gassate. Alle 9:45 verso l’Erta Ale, che in linea d’aria non è lontanissimo ma la strada, soprattutto negli ultimi 12 km, è quasi impercorribile. Tra Afdera e il campo dell’ Erta Ale, c’è una sosta obbligata al polveroso villaggio di Kurswat, dove l’autorità Afar ci da il permesso di passare. Il vento è forte e carico di sabbia, non si riesce a star fuori dalle jeep. Qua c’è il deserto, il perfetto nulla, alcuni dromedari all’orizzonte che pascolano, soli, laggiù fermi come statue. L’arrivo al campo base dell’Erta Ale è alle 14:00, il cuoco ci ha preparato un panino con il tonno e il cocomero, poi abbiamo qualche ora per riposarsi, anche dormire, buttando i nostri materassini dentro alle capanne, anche se le mosche non danno tregua. Dal campo base si parte per l’Erta Ale alle 17:30, quasi al tramonto per camminare con il fresco, ci vogliono circa 3 ore quasi mai impegnative anche se sono assetatissimo . Mentre si sale, può capitare nella notte di vedere il bagliore del lago di lava che si riflette rosso sulle stelle, siamo in cima alle 20:30, mi fermo un po’ nelle capanne sul bordo del cratere,mangio perché ho fame e laggiù voglio andarci scevro da pensieri. Pensieri sul bordo dell’inferno: la roccia è fusa, fontane di fuoco che sprizzano, esplodono, riesplodono ancora più forti; il luogo ti fa sentire piccolo, un microbo, un granello di polvere, niente, se faccio un salto giù in meno di un secondo sparisco, all’istante. Adesso il lago di lava sembra che si sia fermato ma non oso voltargli le spalle, è terribile, ed io sono seduto su questo tappo di roccia, caldissima e tagliente come il vetro, ricoperta dai capelli di pele. Ritorno alle capanne per cenare e poi nuovamente al vulcano, la prima è stata una visione riflessiva, la seconda è per le foto. Ricordatevi che al vulcano il treppiede è necessario. In questa notte c’è la luna piena, brindiamo con l’ouzo (una sambuca locale), poi si parla, si scherza fino all’una di notte. La notte quassù sarà breve, poche ore e scendiamo.


6° GIORNO: iniziamo a scendere dal vulcano alle 5 e siamo di ritorno al campo base alle 8, abbiamo impiegato lo stesso tempo della salita; qui ci aspetta un abbondante colazione, buonissime le pesche sciroppate. Alla partenza con le jeep il primo tratto è il peggiore, impieghiamo 2 ore per raggiungere il deserto di sabbia, e da qui una corsa bellissima fino alla strada asfaltata dove lasciamo le tre guide Afar che ritornano ad Afdera a sud, mentre noi proseguiamo verso nord. Ad Ertelli sosta pranzo, è questo un villaggio di operai che spaccano le pietre per costruire la strada; ci accoglie una famiglia dentro una stanza buia, alcuni di noi si siedono sul letto, altri per terra, ma ci porta un ottima pasta al sugo con sprite fresca. Dopo pranzo la strada inizia a salire verso solitarie montagne, sono le alpi dancale, ed oggi la tappa di trasferimento è lunghissima; una sosta caffè, e poi diretti verso Berhale dove arriviamo nel tardo pomeriggio. E’ un semplice villaggio ma qua i cammelli con i loro cammellieri provenienti dalla depressione si fermano, scaricano le tavolette di sale, perfettamente squadrate, e le vendono, per poi ricominciare il viaggio, così da secoli e secoli. Da Berhale si scende verso Ahmed Ela, sotto 120 metri dal livello del mare: la strada è quasi tutta asfaltata tranne pochi tratti, incontriamo uno sfortunato camionista che si è rovesciato ma per fortuna esce illeso, arriviamo alle 19:00. La cena preparata in fretta dai cuochi è buonissima: patate, carote, piccoli wustel e melanzane in pastella. Stanotte si dorme all’aperto, sulle brande di legno intrecciate dove sistemiamo i materassini, è straordinario, peccato che chiudo gli occhi quasi subito stanchissimo, sotto alle stelle senza inquinamento luminoso, una leggera brezza …. Trascorro una di quelle notti dove è piacevole svegliarsi a pisciare, perché sei in un mondo meraviglioso.
7° GIORNO: Oggi la prima cosa che ho fatto è scrivere, dopo che un capretto mi ha fatto sentire le sue corna passando sotto la branda, anche se, più il sole sale e più le mosche iniziano a dare fastidio. Adesso che lo guardo di giorno, Ahmed Ela è il villaggio dei bastoni e della polvere, poiché oltre al ripetitore ci sono solo quelli. L’escursione inizia con la piana del sale, a volte allagata da due/tre centimetri d’acqua del lago Assale, e irregolari sul terreno compaiono le misteriose forme esagonali. Poco più in la e siamo ai piedi della collina di Dallol, è già bella così ma salendo pian piano si scoprono sempre nuovi colori e nuove forme bizzarre della roccia, tondeggianti o spigolose, spuntano i primi “hornitos”, finché l’intorno diventa color ruggine, ancora un passo, e mi appaiono gli psichedelici colori di Dallol. In questa stagione le vasche acide non sono al massimo del loro splendore, purtroppo aumenteranno il mese prossimo; in Dancalia il paesaggio cambia sempre, non è mai uguale a se stesso. A Dallol passeggio lentamente, scatto foto finché
vengo scacciato via dal vento che mi spinge contro zaffate di zolfo, sto per vomitare. Da un altura, sottovento ai vapori, continuo a guardare Dallol e laggiù in fondo il villaggio abbandonato dei minatori italiani, quasi un secolo fa. Luogo assurdo, caldo, invivibile. Montiamo sulle jeep, andiamo alle colonne di Dallol: nel canyon di pinnacoli di salgemma c’è un piccolo laghetto nel sale, e poco distante il pericoloso e terribile lago nero dove l’acqua acida e bollente ribolle, nera con sinistre sfumature verdi e gialle. Torniamo alle piana del sale dove sono arrivati gli estrattori tigrini e gli intagliatori Afar che squadrano perfettamente le tavolette di sale, i gànfur. Lavoro durissimo che tra pochi mesi scomparirà, sostituito dalla strada in asfalto e dalle macchine estrattrici. Nel lago Assale l’acqua raggiunge un livello massimo di 50 cm, si può camminare semplicemente con i piedi bagnati. Per il pranzo si torna ad Ahmed Ela, ora fa troppo caldo per stare in giro: riso con olive e zucchine, un piatto di verza con piselli e carne fritta; dedico il pomeriggio alla lettura, scatto qualche foto e passeggio fin quando i miei passi mi portano al bar della polizia dove oggi il frigorifero funziona e ci sono le birre fresche, nonché un sudicio biliardo. Al tramonto i ragazzi di Ahmed Ela montano le porte da calcio e iniziano a giocare, partecipo anche io, lo straniero, il bianco tra i neri; mi sfiancano nella polvere che entra nei polmoni, corrono come capre su un campo di sassi e per fortuna la partita termina con un ragazzo che cade con il sedere sul pallone e lo buca, basta, non si può più giocare. Trascorre anche questo intenso e rovente pomeriggio, le guide ci parlano del trekking di domani mattina, poi un'altra notte sotto la luna e le stelle che salgono e poi si abbassano scandendo il ritmo di un’altra meraviglia di notte.


8° GIORNO: da Ahmed Ela ad Assa Bole, punto di partenza del treeking sono solo 20 minuti di jeep. Partiamo alle 08:20 e arriviamo a Melabaday alle 16:00, il nome significa “il villaggio del miele”, sono poche capanne adagiate lungo il fiume e tanti bambini che ci aspettavano, di qui transitano i cammellieri del sale che scendono giù verso la depressione. Il treeking è una piacevole passeggiata lungo il canyon che talvolta si stringe donando una preziosa ombra, mentre il fiume si attraversa infinite volte dandoti la possibilità di avere costantemente i piedi e i polpacci bagnati. Un Afar ci ospita per il pranzo nella sua capanna di bastoni, un ambiente umile con un buon caffè messo là sul braciere. Salendo verso Melabiday incontriamo alcune carovane del sale che salgono o scendono (soprattutto), ma non sono moltissime. Arrivati al villaggio metto subito i miei anfibi ad asciugare, ci impiegano pochissimo, fa caldo e c’è un vento caldissimo che scende giù a valle. Anche stanotte, per fortuna, dormiamo all’aperto, un’altra notte meravigliosa sotto alle stelle e
quando mi capita di svegliarmi è un piacere immenso, ancestrale, quasi una culla per i sogni, ascoltare le nenie secolari, sempre quelle sono sicuro, che i cammellieri intonano mentre scendono lungo il canyon verso Ahmed Ela.
9° GIORNO: La Dancalia è finita ! proprio quelle nenie nessuno le ascolterà più e moriranno con i corpi marroni e rinsecchiti dei cammellieri Afar. Ormai la strada in asfalto che conduce fino a Makallé e collegherà la Dancalia è quasi ultimata, non avrà più senso trasportare il sale con i cammelli, sarà anti-economico.
Oggi lasciamo Malabiday dopo la colazione e la distribuzione delle laute mance che tutto lo staff si è meritato, e alle 12:00 siamo a Makallè: adesso scrivo nella lussuosa camera dell’Hotel Planet, già lavato di tutta la polvere, indosso panni puliti, il viaggio è finito e la Dancalia è già nei ricordi. Mi restano gli anfibi da pulire, ci pensa un piccolo lustrascarpe; poi andiamo in aeroporto e un “bombardier” dell’Ethiopian ci porta ad Addis Abeba per prendere il volo internazionale e dove ai controlli mi sequestrano i sassi lavici dell’Erta Ale … fine del viaggio.