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Eritrea e isole Dahlak

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La premessa del viaggio? L’Eritrea è la mia casa, è la nostra casa. Mai, in un viaggio, ho avuto questa sensazione, inspiegabile, viene da dentro, come se fosse il prolungamento naturale dell’Italia in Africa, dovuta non solo all’architettura nostrana ovunque presente, non solo ai menù dei ristoranti e alla qualità del cibo, non solo al paesaggio, ai fichi d’India, alla ferrovia, ma soprattutto alla gente, al popolo eritreo che mi ha commosso per la sua ospitalità e cordialità. In Eritrea ci vogliono veramente bene, nonostante la nostra supponenza, nonostante le nostre autorità lascino morire i loro fratelli nel mar Mediterraneo affogati, ma questo è un altro discorso. Il nostro viaggio, breve ma intenso, va diviso in due parti: quella storica, etnica e culturale con la visita delle tre principali città eritree, Asmara, Massaua e Cheren, e quella al mare, in barca e relax alle meravigliose isole Dahlak, un arcipelago di più di 300 isole nel mar Rosso. Tutto nel complesso è stato eccellente, il gruppo, l’organizzazione, la logistica, le guide, i servizi, gli hotel, la barca, l’unico neo, personale, un’influenza che dalla sera del primo giorno è ritornata in Italia con me.

 

26 dicembre 2019, giovedì: volo Turkish delle 11:15 per Istanbul dove si riunirà il gruppo proveniente da varie città d’Italia e noi lasciamo Roma con un bellissimo sole invernale. Al check-in ho scoperto di avere ben 46 kg disponibili per inviare il bagaglio in stiva, così in due riusciamo ad inviare quasi 80 kg di roba: vestiti per bambini da donare, tende, lampade da campeggio e un gazebo! Stavolta ho battuto il mio record di invio. Arriviamo ad Istanbul, nel nuovo e avveniristico aeroporto, sembra tutto regolare fino alla partenza, tutti pronti al decollo, ma niente, si torna indietro, c’è un problema al motore. Quindi, prima ci annunciano un ritardo di 2 ore, poi la partenza viene posticipata al mattino seguente, alle 07:00 il decollo. Un problema, suppongo, ordinario visto il traffico aereo dell’hub di Istanbul, si trasforma per la Turkish in un problema straordinario, gestito malissimo tanto che ci lasciano a digiuno fino al mattino dopo e soltanto a mezzanotte, dalle 18:00 che si era presentato il problema, sono nella stanza d’albergo ad aspettare le 03.30, orario di sveglia per ritornare in aeroporto e prendere il volo.

27 dicembre 2019, venerdì: alla fine si decolla in perfetto orario, riesco a trovare una fila vuota da 3 e dormo per quasi tutto il tempo, mi sveglio e sotto di noi c’è già l’arido altopiano di Asmara, 11:30 atterriamo. Le operazioni di entrata sono piuttosto veloci e fortunatamente i bagagli ci sono tutti: c’è la signora Alganesh che ci assiste nelle operazioni di registrazione VISA e subito fuori Habte la nostra guida ad accoglierci. Habte, che parla un buon italiano, apparentemente sembra riservato e poco incline allo scherzo, ma fa parte della sua estrema professionalità, poi con il tempo si scioglierà e sarà un ottimo amico, oltre che guida. Alle 13:00 in punto siamo all’Hotel Crystal al centro di Asmara, giusto il tempo di sistemarci per le stanze e poi uscire a pranzo, un buonissimo hamburger veloce, e via alla visita della città, abbiamo mezza giornata da recuperare, premetto che Asmara pur essendo una capitale si gira tranquillamente a piedi, tranne qualche eccezione dove prenderemo il nostro “coaster” bus. Dopo pranzo cambiamo i nostri soldi in Nafca: la prima visita è il teatro dell’Opera ma è chiuso, quindi l’ex casa del fascio oggi sede del Ministero dell’Istruzione che rappresenta una gigantesca “F” rovesciata, quindi il bellissimo ufficio postale ancora oggi funzionante con tutte le cassette di sicurezza, il Banco di Roma, Piazza Italia, la cattedrale cattolica di S.Maria che purtroppo apre solamente durante la funzione religiosa, il futurista cinema “Impero” una delle cartoline più celebri di Asmara, dove stavano trasmettendo un film d’azione americano. Mi dispiace non aver potuto visitare l’interno della cattedrale, essa fu consacrata nel 1923 ed è ritenuta una delle più belle chiese in stile italo-lombardo fuori dall’Italia. L’altare è in marmo di carrara, mentre battistero, confessionali e pulpito in legno di noce italiano. Il campanile in stile gotico domina tutta la città ed è il punto di riferimento della strada principale, la “Harnet Av.” dove stiamo camminando.

Asmara è una città estremamente tranquilla, il traffico non è mai eccessivo, le strade sono larghe e tutte con larghi marciapiedi dove passeggiare, infatti spesso ci fermiamo al bar a prendere un caffè espresso e un dolcetto, proprio come stessimo in Italia. Riprendiamo la passeggiata con il mercato ortofrutticolo al coperto, proprio dietro c’è un negozio di latticini e formaggi dove vendono una buona mozzarella; di fronte la moschea “Al Khulafa” costruita nel 1937 dall’ing. Ferrazza, poi la chiesa copta di “Nda Mariam” costruita nel 1938 è una fusione di stile italo-eritreo e proprio le campane vengono dalla fusione del bronzo dei cannoni austriaci della I° guerra mondiale. Prendiamo il “coaster” per andare all’ex caravanserraglio oggi “Medeber” dove vengono riciclati tutti i materiali potenzialmente recuperabili per essere trasformati ed avere nuova vita; oggi è mercato, fucina, officina, falegnameria e fabbrica di innumerevoli attività. Infine, ultima visita anche perché il cimitero degli italiani è chiuso, è il cimitero dei carri armati: un enorme ammasso di ferro di guerre e guerre che hanno attraversato e devastato questo paese. Direi che finalmente fa buio e sospendiamo le visite anche perché la stanchezza inizia a farsi sentire: alcuni vanno in hotel, altri tentano di scaricare il VPN per poter collegarsi ad internet, non sarà facile anche se qualcuno ci riesce, consiglio infatti di scaricarlo prima di arrivare in eritrea. Ho giusto il tempo di tornare in albergo, fare una doccia, ed ora di cena, la serata è piuttosto fresca, ci vuole felpa e giubbotto. Mangiamo in un bellissimo ristorante a 300 metri dall’albergo, con cibo tradizionale e non, io ne approfitto per mangiare uno “zichinì” con la prima injera del viaggio, stavo in astinenza. Purtroppo però, quando torno in camera, nonostante la stanchezza non prendo sonno, ho brividi e freddo, è arrivata l’influenza.

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28 dicembre 2019, sabato: dopo una pessima nottata, oggi sarà il giorno dell’escursione ad Adi Qala, partiti alle 8 siamo là alle 11, fermandoci a lasciare le valige all’ “Asmara palace” il nostro nuovo hotel e le pause lungo la strada. Ad Adi Qala c’è il monumento e l’ossario dedicato ai caduti della battaglia di Adua e tutt’intorno l’incantevole valle del Mahreb che fu il campo di battaglia con Adua, in Etiopia, laggiù sullo sfondo. La battaglia fu combattuta il 1 marzo 1896 e fu la prima e più grande sconfitta di un esercito

europeo (quello italiano) contro una nazione africana: 7000 morti e 1500 feriti italiani, tra cui due generali Vittorio Dabormida e Giuseppe Arimondi i cui resti sono ancora oggi conservati nell’ossario, una disfatta che arrestò l’espansione coloniale italiana in Etiopia per parecchi anni, fino al 1936. Il pulmino non può raggiungere l’ossario, solo con la jeep è possibile arrivare, quindi dobbiamo fare una bella passeggiata in salita di 20 minuti per raggiungerlo: qui il fascismo si è sbizzarrito con la sua retorica, ci sono ancora i fasci littori e richiami all’orgoglio della Patria nostra con le ben conosciute frasi ad effetto, comunque è un pezzo importante della nostra storia in terra d’Africa. Quando scendiamo dalla collina dell’ossario, andiamo al vivace mercato di Adi Qala, poi proseguiamo verso Mendefera il cui nome significa “nessuno ha osato” poiché nemmeno gli italiani riuscirono a domarla. Ci fermiamo poco prima di entrare in città in un ristorante, lentissimo, per il pranzo, poi saliamo per visitare la chiesa di San Giorgio che, in posizione dominante, offre una bellissima veduta. Ritorniamo ad Asmara alle 17.20, abbiamo pochi minuti di luce per vedere il monumento simbolo di Asmara, “FIAT Tagliero”, il distributore più insolito del mondo costruito nel 1938 dall’ing. Pettazzi, è un classico esempio di architettura futuristica che rappresenta le ali di un aereo, tutti pensavano che le due ali laterali sarebbero presto crollate ed invece sono ancora lì. Poi il cinema “Roma” ancora oggi funzionante, stupendo, con i seggiolini in moquette rossa come un tempo in Italia e all’interno foto e rimandi al nostro cinema, infine l’albergo “Italia” che ci emoziona a tutti, ci sono perfino i giornali di un tempo, il “Quotidiano Eritreo”, e un arredo stile “ impero”. Finalmente per me è arrivato il buio, vado in stanza all’Asmara Palace con la febbre a 39 e lì finisce la mia giornata.

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29 dicembre, domenica: ho passato la notte con due tachipirine, alla colazione sto benone, e alle 8 siamo già alla stazione dei treni di Asmara pronti a prendere la “littorina” Ansaldo a carbone che ci porterà fino ad Arborobé e ritorno. E’ un viaggio nel treno della storia: a scendere non ha problemi ma al ritorno che è tutto in salita deve fermarsi 3 volte per far prendere potenza al motore. Arrivati alla stazione di Arborobé si scende, il treno fa la manovra per girare la locomotiva, e nel frattempo tutti noi passeggeri scendiamo per

visitare la cisterna d’acqua costruita cento anni fa e ancora funzionante, l’Eritrea è così, ovunque trovi sfoggio delle capacità urbanistiche, ingegneristiche e culturali dell’Italia. Questa ferrovia iniziò la sua vita dal basso, il primo troncone fu costruito nel 1887, e il primo treno che raggiunse Asmara è datato 5 novembre 1912, in 6 ore di viaggio, poi proseguì la costruzione fino ad Agordat, ma la guerra blocco per sempre i lavori. La tratta funzionò fino al 1975, quando Menghistu distrusse tutto. Fu una delle costruzioni ferroviarie più ardite del mondo con pendenze costanti tra Asmara e Ghinda del 35%, 65 ponti, 30 gallerie, 19 viadotti, 13 stazioni. Viaggiavano locomotive Mallet, Breda, Fiat e appunto Ansaldo a motori doppi che trascinavano dietro carichi impensabili. All’indomani dell’indipendenza dall’Etiopia, nel 1993, la ricostruzione della ferrovia fu all’ordine del giorno: vennero ritrovate alcune locomotive del tempo, furono richiamati i vecchi ferrovieri di età media 70 anni che riuscirono a mettere in funzione un treno di un’altra epoca. Quindi oggi, ciò che non sarebbe mai potuto accadere in Europa, accade in eritrea: un treno fantasma che viaggia su binari a scartamento ridotto di 95 cm, costruito più di 100 anni fa da noi italiani.

Prima di lasciare Asmara, ci fermiamo a prendere un caffè allo “Spaghetti House” il ristorante della sera precedente, poi alle 12:00 si parte per Cheren dove arriviamo alle 15:00 all’hotel Sarina dove mangiamo subito un panino con la frittata ordinato al telefono: la distanza è di 90 km, non tanti, e si scende di circa 1000 metri quindi fa più caldo, la strada è in buone condizioni ma molto tortuosa e affollata di animali, persone e qualche autobus che inevitabilmente rallenta. Subito dopo il panino usciamo per la prima visita al santuario della madonnina nera del baobab dove vivono, coltivando e pregando, le Figlie della Carità devote a Maria. La Madonna nera fu sistemata nel baobab per aver salvato due soldati italiani che vi si erano rifugiati, nel 1941, durante la battaglia di Cheren tra italiani e inglesi, e tutt’oggi è ancora visibile il buco nel legno fatto dalla granata. Poi andiamo al cimitero degli italiani le tombe a sinistra e degli ascari le tombe a destra e sul cancello la scritta “EROI”: tutte vittime della battaglia, tra le più cruente della II° guerra mondiale con 12.000 morti combattuta nella primavera del 1941, sulle lapidi spesso, soprattutto tra gli ascari, non c’è il nome ma “ignoto”, e qui c’è la celebre targa del ten. Amedeo Guillet: <<“Gli eritrei furono splendidi. Tutto quel che potremo fare per l’Eritrea non sarà mai quanto l’Eritrea ha fatto per noi>>. Saliamo sulla terrazza dell’hotel “Keren” per avere una visione d’insieme di questa cittadina, e si capisce subito la sua importanza strategica e il perché noi italiani riuscimmo a difenderla per mesi, per poi gloriosamente, capitolare: infatti è circondata da 12 monti e si trova nella valle dove passa la strada da Kassala in Sudan, all’epoca inglese, fino all’Asmara. Poi andiamo a passeggio per il quartiere italiano, pieno di ville alcune purtroppo all’abbandono, una scuola Elementare, la stazione della polizia, il cinema dove stavano trasmettendo una partita della premier, sembra di essere in Italia, poiché oltre allo stile Liberty delle case anche l’urbanistica è identica alla nostra. Cena in albergo, tranne per me in stanza poiché sono nuovamente stravolto dalla febbre.

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30 dicembre, lunedì: anche oggi una giornata piena, dopo Cheren dovremo arrivare fino a Massaua, passando per Asmara. Al mattino mi sveglio sempre bene poi peggioro verso sera, tranquilla colazione con burro di arachidi, marmellata rosso fluo, un panino e un caffè, poi iniziamo le visite: in centro, sotto il porticato, costruito dagli italiani, molte botteghe, laboratori di orafi e sarti. Dove oggi c’è la stazione delle corriere un tempo arrivava la ferrovia, esiste ancora la vecchia pensilina liberty, il bar e la scritta “CHEREN”, poi, non a caso è lunedì, andiamo al celebre mercato. Molto vasto, sicuramente il più suggestivo e più grande è quello degli animali dove si vendono cammelli, capre, pecore, mucche. Poi attraversiamo tutta la città, bottega per bottega, vendono di tutto, dai tessuti alla frutta, e ne approfittiamo per bere qualcosa al bar, infine, l’ultima parte del mercato: un fiume coloratissimo di centinaia di persone che si riversano sul greto secco dove, anziché l’acqua, scorrono mercanzie locali, frutta, verdura, tessuti, immancabili magliette “cinesi”, e qua anche solo camminare è difficile. Partiamo per Asmara alle 10:50 e arriviamo alle 13:30, giusto in tempo per prenderci un panino buonissimo al fast food del primo giorno. Quindi ripartiamo subito per Massaua, anzi scendiamo, poiché in 110 km dai 2400 di Asmara arriviamo al mare, al caldo, nella fornace. Qualche chilometro fuori dalla capitale, c’è un forno crematorio per gli indiani, poi una discarica e poi discesa, qui veniamo subito avvolti in una fitta nebbia. Arrivati a Nefasit il paesaggio cambia, dalla montagna si passa alla collina, è più verde poiché piove molto di più e costantemente abbiamo a fianco della strada la vecchia ferrovia che in questo tratto non è più funzionante. Dopo il basamento, ben visibile, che ospitava il pilone dell’ex teleferica, la strada inizia a spianare e inizia l’area desertica, che geograficamente è Dancalia, infatti “Dissei” l’unica isola di roccia delle Dahlak, viene considerata l’ultima propaggine della catena di fuoco dancala. In quest’aerea dove non ci sono alberi ma solo colline piene di sassi c’è Dogali: qui nel 1887 il ten. De Cristoforis con circa 500 uomini fu sconfitto e quasi tutti uccisi dalle forze etiopi di Ras Alula, fu quest’episodio poi il preludio della battaglia di Adua come vendetta, e oggi, in onore di quei caduti, a Roma, c’è Piazza dei Cinquecento di fronte alla Stazione Termini. A Dogali invece c’è un monumento a ricordo con alcuni resti di quei soldati e la bandiera italiana insieme a quelle eritrea; subito dopo c’è il ponte di Dogali, anch’esso costruito da noi italiani e dedicato al Gen.Menabrea, con la frase in dialetto piemontese <>, ovvero, <>. Dopo Dogali,

praticamente a 15 km c’è Massaua, finalmente il mare, il mar Rosso. Poco prima del tramonto siamo al “Grand Hotel Dahlak” praticamente l’unico fruibile in tutta la città, una città devastata dalla guerra, dove è tutto distrutto e pericolante, pochi ruderi sono ancora in piedi, ma, forse proprio per questo è una delle città più belle del mondo per me, il suo fascino mi ha completamente sedotto, una meravigliosa decadenza. A cena andiamo dallo storico “Sallam” non è propriamente un ristorante, poiché ha solo pochi tavoli di plastica con sedie di plastica, non ha menù, ma ha un meraviglioso “forno dancalo” dove cuoce solo pesce fresco di giornata come cernie e dentici e un pane finissimo e buono, basta, senza contorni, senza nient’altro, al massimo ha una coca cola o una fanta. Il pesce, manco a dirlo, è eccellente, cottura perfetta.

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31 dicembre, martedì: l’ultimo giorno dell’anno, è nuvoloso ma Massaua è sempre bella: scendo giù a fare colazione presto ma l’attesa è interminabile così vi racconto che questa città è formata da due isole: Taulud e appunto Massaua. Taulud, detta la lunga, è collegata alla terraferma da un ponte e il Grande Hotel Dahlak dove sto scrivendo è proprio all’inizio dell’altro ponte che la collega a Massaua, quest’isola era il borgo residenziale, qui sorgeva la bellissima Villa Ciprea, oggi distrutta, della famiglia Melotti. Mentre l’altra isola è Massaua, più verso il mare, un dedalo di stradine che aiutano la circolazione dell’aria, il vero e proprio centro storico, dove vorrei vivere, dove oggi non c’è più nemmeno un albergo, c’era il “Torino” completamente abbandonato, dove gli stili architettonici si sovrappongono, arabi, turcomanni, italiani, ci sono perfino edifici costruiti con il corallo. Alle 9 siamo al porticciolo turistico, o semplicemente una banchina, dove all’interno di un container c’è il “diving center” e la nostra barca ormeggiata: bellissima, oltre le mie aspettative, pulita, cabinata, spaziosa, con il bagno a bordo, potente con 4 motori da 350 cv e naturalmente una lancia di supporto per scendere a riva. Noleggiamo l’attrezzatura per il diving, non ne hanno moltissima e dobbiamo abbassare le nostre pretese ed accontentarci, tra l’altro non è nemmeno in perfetto stato, noleggiamo pinne e maschere per lo snorkeling, e si parte, finalmente il mare e dopo qualche minuto che siamo in barca si apre il tempo, esce il sole. La prima isola dove ci fermeremo per la

notte e festeggeremo il capodanno è Dissei, dove in passato tentarono di costruire un villaggio turistico di cui oggi rimangono solo mura e vetri rotti. Morfologicamente quest’isola seppur facente parte dell’arcipelago è l’unica di origine vulcanica, è l’unica abitata da un piccolo villaggio Afar, e forse è anche la meno bella anche se logisticamente ha il vantaggio di avere ombra generata da un grande gazebo sotto al quale pranziamo e mura riparate per permettere alla cuoca di cucinare al meglio, mentre le nostre tende le montiamo sulla spiaggia.. Trascorriamo il resto della giornata su quest’isola ma nessuno di noi ne è entusiasta: qua festeggiamo il capodanno, qua diamo il benvenuto a questo 2020: Habte e lo staff hanno comprato per noi dei fuochi d’artificio da sparare, ceniamo con tanto ottimo pesce e tanti dolci che ognuno di noi ha portato dalle diverse parti d’Italia. Terminiamo la serata con un bel falò sulla spiaggia, e un fantasma che ci scruta dall’alto come da foto sotto.

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01 gennaio 2020, mercoledì: l’alba del nuovo anno, il 2020: un anno funesto per l’Italia e tutta l’umanità ma in quei giorni ancora non sapevamo nulla. Il sole mi ha svegliato, e attraverso la zanzariera della mia tenda ho goduto di questa prima alba. Oggi tutti concordi nel lasciare Dessie, e soprattutto concordi nel fermarci per le prossime due notti nella stessa spiaggia, poiché tutte le operazioni di montaggio/smontaggio campo sono troppo lunghe e laboriose. Infatti saliamo sul nostro yacht solo alle 11:00, dalle 06:00 che siamo svegli. Il primo snorkeling della giornata è all’isola di “Madote” un striscia di sabbia bianca, a 15 miglia da Massaua è la più vicina e perciò la più visitata poiché fattibile anche con una escursione giornaliera. Ha uno splendido reef ed è riconoscibile poiché è rimasto in piedi un vecchio traliccio della marina che probabilmente ospitava un faro di segnalazione. Nel frattempo a bordo dello yacht, la nostra cuoca sta preparando il nostro pranzo, un’ottima pasta al pomodoro fresco anche un po’ piccante, l’immancabile pesce e verdura, con vino bianco eritreo fresco che in Italia vale un tavernello, ma qua è eccellente. Nel pomeriggio altro snorkeling ad “Enteara”, una striscia di sabbia bianca lunga 200 e larga 50 metri, una delle perle delle Dahlak, e tra i ciuffi d’erba vengono a nidificare i falchi pescatori. Montiamo il campo nella

splendida “Dur Ghella” completamente circondata dal reef che sta a pochi metri dalla spiaggetta dove al tramonto ormai quasi avvenuto iniziamo a montare le tende, e il gazebo che dal mio giardino ha ripreso vita alle Dahlak, un pò malmesso ma alla fine fa il suo lavoro in questi due giorni, anche perché, senza di lui, l’ombra non esiste, sempre sotto all’implacabile sole. Come al solito ottima cena di pesce fresco, prevalentemente cernie e tonni, e notte sotto le stelle nel paradiso marino, ascoltando lo sciabordio delle onde sulla spiaggia, che, come una ninna nanna mi addormentano.

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2 gennaio, giovedì: è la giornata più rilassante di tutto il viaggio poiché lasciamo le tende e tutto il campo montate sulla nostra meravigliosa piccola spiaggia di “Dur Ghella”, e con molta calma al mattino andiamo in escursione all’isola di fronte “Dur Gaam” che dista 4 miglia marine: e probabilmente questa è ancora più bella poiché ha una lunghissima spiaggia a forma di arco, bianca come il latte. Tuttavia per raggiungere la barriera corallina ci vuole più tempo, non è così in prossimità come la nostra, bisogna camminare un bel pò nell’acqua. Poi tra tutto questo splendore di mare e natura, è francamente difficile dire o scegliere il più. Anche qua facciamo in nostro snorkeling e poi ritorniamo a pranzo a “Dur Ghella” dove la nostra cuoca ci ha fatto trovare il pranzo pronto, ovviamente pesce, il problema semmai è trovare l’ombra poiché quella del gazebo va divisa in 15 persone con tavolino e sedie. La giornata trascorre poi nell’ozio, bagni, nuotate,, sole, letture, chiacchere e immersioni.

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3 gennaio, venerdì: oggi dobbiamo ritornare sulla terra ferma a Massaua, molto lentamente smontiamo tutto il campo in modo da risalire sulla barca all’ora di pranzo appunto per mangiare e poi tornare: così sarà e alle 14.40 siamo di nuovo a Massaua, la mia città preferita. L’albergo è naturalmente lo stesso, ci fermiamo nelle stanze fino alle 16:00 un po’ per riorganizzare tutta la valigia e soprattutto togliere il sale da dosso, visto che è dal 31 mattina che non tocchiamo acqua dolce se non per bere. Abbiamo due ore e mezza di luce per visitare tutta Massaua: iniziamo con il museo, che a parte qualche foto del periodo coloniale italiano, è principalmente dedicato alla lotta per l’indipendenza dall’Etiopia. Poi una passeggiate tra le rovine e i palazzi, le macerie sono moltissime ma le poche cose rimaste in piedi sono eccezionali; qua è stato un succedersi di dominazioni, iniziarono i turchi per 3 secoli, quindi gli egiziani, finché nel 1885 noi italiani e divenne capitale della colonia per 5 anni. Sotto la dominazione italiana si arricchì parecchio in crescendo fino all’invasione dell’Etiopia nel 1936 dove servì da punto di appoggio e deposito per tutte le attività militari. A cena ritorniamo dal nostro “Sallam” anche perché, non ho visto chissà quale scelta di ristoranti nella passeggiata precedente, non è una città che può offrire negozi, c’è qualche bar, un abbigliamento, un banchetto che vende verdura, un altro che vende biscotti, niente di più; probabilmente sulla terra ferma, perché ricordo che sto scrivendo dell’isola di Massaua, non di Massaua come città che è molto più estesa ma l’ho vista solo di passaggio dal pulmino.

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4 gennaio, sabato: ultimo giorno, stasera, subito dopo la mezzanotte abbiamo il volo di rientro via Istanbul. Al “Grand Hotel Dahlak” evitiamo di fare colazione per non aspettare almeno un’ora, e alle 7 siamo già tutti giù pronti a partire, la colazione la faremo sulla strada, più avanti. Prima di lasciare la città sosta al monumento all’indipendenza, 3 carri armati che sembrano stare di guarda alla porta di Massaua. Poi ci fermiamo a Ghinda in un bar, dove oltre al pane con la marmellata, il burro e il caffè hanno anche un bel bicchiere di yogurt fatto in casa con la schiuma. Si riparte e poco dopo la strada inizia a salire in infinite curve e controcurve fino ad Asmara dove arriviamo alle 10.30. Tentiamo di visitare lo storico birrificio “Melotti” oggi ancora in funzione anche se la birra si chiama “Asmara” ma non siamo autorizzati, quindi andiamo in albergo per prendere camere in “day use” fino a stasera e ognuno ha il pomeriggio libero per fare quello che vuole. Io ne approfitto per andare dal barbiere, comprarmi una mozzarella asmarina, lucidare gli anfibi e soprattutto per vedere ciò che il primo giorno mi era sfuggito in seguito alla febbre alta che mi tormentava. Ho già scritto che Asmara è un paesotto, si gira tranquillamente a piedi e soli senza nessun problema, e passeggiando, fermandomi nei vari bar e negozi, mi godo da solo, queste ultime ore in questa terra eritrea che tanto ho sentito famigliare. Ceniamo allo “Spaghetti House” e poi in aeroporto, arriviamo in largo anticipo, 3 ore e mezza prima, ma troviamo tutto chiuso e spento, cosicché aspettiamo fuori al freddo per quasi un’ora. Entriamo, check-in manuale perché il collegamento ad internet è assente e via, destinazione Istanbul, quindi Roma dove arriviamo regolarmente al mattino di domenica 5 gennaio.