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Harar, Somaliland e Gibuti (di Roberto Karrer)

Ancora il viaggio a farla da padrone, dopo il Natale a Londra eccoci qua a volare a Istanbul - emozioni così differenti, contrasti acuti - quelli che mi fanno sentire vivo. Sono stati cinque giorni intensi e speciali a Londra, tanti significati tutti condensati. Londra da mostrare a Sasha (e Masato!), Londra di famiglia come casa di Diana e mia seconda casa o terza, Londra come il ritorno a casa di lady Diana con la sua nuova famiglia, Londra l’immortale sogno europeo ora più che mai nuova, tradizionale, futura e irraggiungibile. Passa il caffè, sul mio volo inter-viaggio spaziale e sono così felice che mi mancate tutti, tutti quelli che sono qui ora a condividere, e che amo molto e sono tanti, ognuno col suo colore e la sua intensità. Ognuno che meriterebbe un viaggio a parte, più breve o alcuni più lungo molti ancora da scoprire. È il viaggiare che mi fa questo effetto, un po’ oppio, coca e alcol mischiati insieme. Parti, come una nebbia che si dirada e ti trovi là, davanti a un’alba nuova. Il Bole Airport di Addis Abeba è praticamente in centro città. La stazione ferroviaria nuova invece - come scopriremo - è fuori di chilometri, cattedrale nel deserto costruita dai cinesi. Il tempo di scendere dall’aereo e siamo al Venetian hotel, camere comode ma niente acqua calda. Nella pausa di Istanbul abbiamo conosciuto il gruppo: Alessio il metereologo, Chiara l’organizzatrice, Claudia informatica, Francesca e Stefano retired, Diana part-timer ed io, il liquidatore. Bleah che brutto identificare persone-lavoro. Incontriamo Gimma agenzia Lake tana. L’albergo sembra deserto e abbandonato - la sera dopo sarà pieno e vivace.

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La mattina scendi per colazione e subito ti colpisce l’odore d’Africa, dolciastro. Prima tappa l’ambasciata di Somaliland, avamposto di questo paese sconosciuto e non riconosciuto. Dopo la consegna dei documenti per il visto ci convoca l’ambasciatore! Ci fa un discorso di benvenuto, noi amici italiani, quasi ci prega di riconoscere il nuovo Stato indipendente, ex Somalia inglese, loro controllano gli estremisti Shabab e non hanno terrorismo, né vogliono essere riuniti alla Somalia, che ancora incasinata e piena di attentati. Investite qui, italiani! È simpatico, ha girato mezzo mondo e sposato una cinese. Quindi è anche furbo. Ecco le strade di Addis - l’Africa lenta zozza e addormentata ti accoglie come una botta d’un altra vita. La maggior parte della gente sembra camminare - o guardarsi intorno - senza meta o scopo particolare. Passano il tempo. Visitiamo il museo nazionale, niente di che ma c’è Lucy, ben ritrovata 3,2 milioni di anni dopo, una scimmia bipede umanoide. Poi ci sono voluti 3 milioni di anni per arrivare all’homo sapiens, 200.000 anni fa, sempre stessa zona. Alessio si chiede cosa è successo in 3 milioni di anni. La corteccia cerebrale, sviluppo lentissimo poi salto in avanti. E tutto avvenuto qui nella valle dell’Omo, questa specie di frattura nella crosta terrestre.

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La chiesa della Santissima trinità costruita da italiani negli anni 30, custodisce le spoglie di Selassié, L’ultimo imperatore ucciso da Mengistu. L’inizio dell’era del terrore rosso. Facciamo un ottimo pranzo all’hotel SaroMaria, incontriamo Davide ed Elisabetta (moglie di Gimma) con le due piccole gemelle. Poi la guida Belete ci porta al museo etnologico, ex dimora imperiale di Selassié e del sanguinario viceré fascista Graziani dal 1936 al 41, colui che fece massacrare più di 30.000 etiopi. Un misto di tradizioni tribali, strumenti musicali, arte moderna africana e arredi anni 30. La sera cena tradizionale da Yeshi Buna - che abbiamo prenotato tramite la ragazza etiope conosciuta a

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Londra: le coincidenze. Forse una delle cene più buone, anche se il pane ‘ngiara è acidulo. Ci accorgiamo che Bole è anche il centro di vita notturna di Addis - si fa per dire. Molti dormono nelle baracche, ma molti anche ai bordi delle strade. La mattina alle 6.30 le vie sono già animate. Attraversiamo la città per prendere il nuovo treno cinese vicino alla antica ferrovia francese per Gibuti. Ragazzi fanno ginnastica in mezzo alla strada. Una cattedrale nel deserto, accanto a ogni porta del treno (del 2016, nuovo) bellissime ferroviere in divisa sull’attenti.

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È così difficile raggiungerlo, che il treno è mezzo vuoto. Manovratori cinesi, il resto soprattutto ragazze etiopi (chissà perché...). Sobbalza ogni volta che frena. La piana verso Nazareth disseminata di acacie e campi coltivati, hanno appena raccolto il grano. Spesso incroci gli occhi di una ragazza bella da togliere il fiato. Ma la maggior parte non si fa fotografare. La stazione di Nazareth è identica, nuova, nel nulla. Thaddeus (Taddé) il nostro driver arriva alla stessa ora e ripartiamo in auto. Il paesaggio ondulato con fiumare secche, terre in buona parte coltivate, è la stagione del raccolto ci sono covoni di grano e di

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teff, il cereale senza glutine con cui si fa ‘ngiara. Tutto si svolge al lato della strada, come in India, come in Birmania, forse in tutto il terzo mondo. Ai nostri lati processioni di asini e carretti, capre e pastori, giovani e bimbi con cesti sulla testa o bambini infagottati sulla schiena. Davanti, processioni di camion e autocisterne, queste ultime tantissime e vuote che vanno a rifornirsi a Gibuti o dopo Harar. Si va piano sull’asfalto rigonfiato o scavato da usura e calura. Comincia a fare caldo, scendiamo dall’altopiano poi risaliamo. Pranzetto a Awash, una capra triste guarda dal pick-up. Comincia un saliscendi, con splendidi tratti di cresta e vista su vallate infinite sui due lati. Passiamo vicino a un lago, terre nere sotto la vegetazione, Taddé dice che sono antiche terre vulcaniche. Infatti siamo sulla Rift Valley, spaccatura della crosta che si spinge fino al Mozambico e inizia in Dankalia. Spesso ai lati appaiono ‘campeggi’ sono le semplici capanne dei nomadi. La pausa caffè è molto allegra tutti ci vogliono fotografare, Claudia si siede con loro e le danno un bambino in braccio,poi anche a Francesca, sono contenti e molto ospitali.

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Mentre Stefano e Chiara rimorchiano due tipi un po’ inquietanti, Claudia ed io assaggiamo il chat, la droga popolare e legale qui. Sono foglioline amare stimolanti, tipo blande amfetamine. Forse sto scrivendo ora, che è notte, perché hanno fatto effetto! Nelle valli piantagioni di chat a perdita d’occhio, lo esportiamo anche nei paesi vicini (Kenya, Gibuti, Somaliland). La strada è stretta e costringe a superamenti rischiosi, improvvisamente accade il fattaccio, Taddé investe un capretto e lo uccide, poi accelera tentando di fuggire ma poco dopo viene raggiunto da due da bagiaggy (le ape car diffusissime anche qui) con gente inferocita che lo ferma. Ha rischiato grosso, se la cava con qualche spintone, ma deve tornare indietro e negoziare il risarcimento. Il padrone aizzato da un gruppo di donne che urlano chiede 100 $. Taddè è in crisi, anche perché ha cercato di scappare, prova a trattare poi finalmente chiude a 80 $. Un prezzo enorme qui. Ma non per noi, facciamo colletta e gliene rimborsiamo 70. Ci guadagnano bene, questi del villaggio, se succede qualche incidente coi turisti li sfruttano. Arriviamo ad Harar verso le 21, dopo 15 ore di viaggio e un’avventura sulle spalle. Mattina dopo colazione con buonissime frittelle e ci buttiamo nel caos di Harar, città che sembra molto povera. Il caos è solo fuori, al mercato: dentro le mura è più tranquilla, è domenica e quasi tutti i negozi sono chiusi. Passata una delle cinque porte

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tra le mura giriamo tra i vicoli variopinti, perlopiù stretti, pieni di piccole moschee nascoste (a noi vietate) e tabernacoli. La guida, un furbetto anzianotto che cerca di farci comprare tutto, ci porta nei pochi negozi aperti, nelle case tradizionali coloratissime e piene di oggetti appesi, nella casa del Ras Makonnen (o Ras Tafari), dove visse da bambino Haile Selassie I – che ospita un modesto museo, e nel palazzo-museo di Rimbaud, splendida casa di un commerciante indiano dove il poeta non è in realtà vissuto.

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Rimbaud doveva essere un tipo unico, controverso. Nella sua breve vita non convenzionale e tumultuosa ha dato scandalo per le sue Poesie maledette in cui ha eliminato metrica e rime arrivando alla prosa poetica, ha avuto una relazione pericolosa con Verlaine che in un litigio lo ha ferito con due colpi di pistola, si è arruolato nell’esercito come mercenario nelle antille olandesi - poco dopo disertando a Giava, è vissuto Londra, a Marsiglia come scaricatore di porto, a Cipro lavorando in un circo, a Aden, qui insieme a due abissine – quindi si è dedicato al commercio di armi con Menelik, e poi trasferito a Harar, città musulmana dove forse era l’unico occidentale. Strano per un sognatore. Era un enfant prodige, ha scritto tutte le opere che lo hanno reso famoso tra i 16 e i 21 anni!

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La mia bohème (fantasia)

Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;

anche il mio cappotto diventava ideale;

andavo sotto il cielo, Musa!, ed ero il tuo leale;

oh! quanti amori assurdi ho strasognato!

Nei miei unici calzoni avevo un largo squarcio.

– Pollicino sognatore, in corsa sgranavo

rime. Il mio castello era l’Orsa Maggiore.

– Le mie stelle in cielo facevano un dolce fru-fru.

Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade,

nelle calme sere di settembre in cui sentivo

sulla fronte le gocce di rugiada, come un vino

vigoroso;

in cui, rimando in mezzo a quelle ombre fantastiche,

come fossero lire, tiravo gli elastici

delle mie suole ferite, con un piede contro il cuore.

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Avevo notato uccelli di grandi dimensioni, non sapevo fossero aquile: in una piazzetta assistiamo al pasto delle aquile, in volo ad ali aperte prendevano cibo anche dalle mani di un ragazzo. Spettacolare. La cerimonia del caffè In una casa tradizionale non è solo uno show turistico: il caffè tostato e pestato lì per lì, è buonissima. L’altra cerimonia del pasto delle iene è più attrazione da circo. Sembra derivi da un’antica usanza, secondo cui una iena sazia non avrebbe aggredito gli animali da pascolo o il pollame. Tutti si ammassano la sera per veder tirare cibo alle iene, illuminate dalle auto. Il ragazzo le ciba anche dalle mani insieme a una turista a turno - a un certo punto una iena per prendere il cibo mette le zampe sulle spalle della turista, che se lo ricorderà per sempre, credo. Harar è piena di bei vicoli variopinti ed è anche molto africana nel senso di inesistente manutenzione e poca o nessuna iniziativa di sviluppo - almeno visibile. Le ragazze sono belle con vestiti un po’ originali, gente cordiale a patto che non pesti nemmeno un pomodoro che rotola per terra passando al mercato: dovrai risarcire il danno. Ottima pizza e mandy al Jim Garden hotel. Partiamo per una tappa un po’ lunga e senza soste, nella cosiddetta valle delle meraviglie, chiamata così per delle strane formazioni rocciose, incontriamo diverse famiglie di babbuini, poi vicino ha un grande ficus pieno di uccelli che sembrano avvoltoi sospesi su un mare di plastiche e immondizie, appare un cordone peso in mezzo alla strada: è il confine!

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Welcome to Somaliland! Paese disastrato da una lunga guerra, che è riuscito a rendersi indipendente mentre il resto della Somalia ancora non trova pace. Ci vengono a prendere in 3 Land Cruiser, saremo scortati da due soldati e un funzionario del ministero del turismo, un signore un po’ attempato che ci fa da guida. Se l’Etiopia è povera, qui pare anche peggio. Poche strade asfaltate, case diroccate vicino a case nuove, tanta immondizia e campi fioriti di brandelli di plastica blu. Lasciamo l’hotel Diamond, nuovo e già mezzo rotto, per tuffarci nella folla in centro, sulla piazza di Hargheisa - la capitale - il monumento principale è un MIG somalo abbattuto, con sotto scene di una carneficina che sembrano dipinte da un bambino molto incazzato e disturbato, tutti ci guardano e si avvicinano curiosi, chiedono della Juventus e ci fotografano. Tanti sono giovani, nonostante la scorta ci segua ovunque non si percepisce nessun pericolo. Le donne tutte velate, la maggior parte scoperti solo gli occhi. Ridono, guardano soprattutto le nostre donne occidentali che hanno i capelli scoperti, salutano ammiccano ma non si fanno fotografare, almeno le giovani. Dobbiamo farlo di nascosto. La strada dei money changers è affollata, hanno sacchi pieni di banconote, per 10 $ ricevi un pacco di scellini. Sono poveri, inflazione alle stelle, ma sono in pace. Qui ci possiamo venire in Libia o in Siria no. Nemmeno in Somalia. Prenotiamo la cena di fine anno all’hotel Mansour, il nostro è un po’ squallido... Dopo una pessima cena di Capodanno, nonostante il personale dell’hotel Mansour se la tiri un po’, strappiamo l’unica bottiglia di prosecco (della coraggiosa Francesca!) presente in Somaliland. Buon anno!! Il ristorantino davanti al nostro hotel vanta la presenza di camere separate per le donne incappucciate.

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Come fa a non stringerti il cuore tutta questa gioventù senza futuro? Pace è la prima cosa, e poi concordia. Ripenso assurdamente all’Italia sovranista, all’Europa ricca che in nome di incerte autonomie mette a repentaglio i valori più grandi, l’unità e la fratellanza. Le lotte intestine dei partiti, invece di unirsi al vincitore del momento. Lo so è uno sproloquio, ma un viaggio qui in un Paese dilaniato da anni di guerra civile per l’autonomia farebbe bene a tanti, a tutti.

 

LAAS GEEL, lo scopo principale del nostro passaggio qui, è un sito emozionante, ‘scoperto’ da francesi solo nel 2003.

Pitture rupestri color rosso, ocra e avorio, splendidamente conservate, ornano sette caverne di un piccolo rilievo sull’altopiano, tra due fiumi antichi che hanno creato due piccole vallate (wadi). Raffigurano soprattutto vacche dalle lunghe corna, ma anche uomini, donne, cani, giraffe elefanti e bestie feroci (ci dicono tigri, ma non ci crediamo…). Risalgono a un periodo tra 3 e 9 mila anni avanti Cristo, datazione leggermente imprecisa. Per paragonare, le prime piramidi egiziane risalgono al 2700 a.C. Pazzesco come i colori si siano conservati bene. Ci sono anche alcune scene: accoppiamento (bovino), nascita (bovina), alimentazione e addestramento di cani. La vista da qui si perde all’infinito sull’ altopiano, e una scurissima pastorella somala in abito arancione e verde posa per noi al bordo del dirupo. Posto indimenticabile.

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Sul ciglio del burrone

una pastorella somala

mischia bellezza all’infinito.

Siamo un punto di colore sulla terra

il tempo di un respiro.

LAAS GEEL, 1/1/2019

 

 

L'hotel Diamond è simbolico del mezzo disastro di questa gente, forse dovuto alla mancanza di futuro. Nuovissimo, alcune piastrelle già rotte nella posa, tubi con fili elettrici a vista, persino un grande quadro è appeso con 2 chiodi palesemente storto. Perché? Perché ordiniamo il riso e un’ora dopo ci portano la pasta? Perché, dicono, il riso era finito. Alle cinque di mattina Iniziano i canti assordanti del muezzin nella moschea adiacente, ogni mezz’ora. Alle 18 un lungo sermone accorato, una specie di comizio, attratti con toni violenti. Mi convertirò di sicuro, sono convinto. Festa di matrimonio all’hotel Mansour, nella sala per sole donne in vestiti coloratissimi si balla e si ulula. Mercato del bestiame, appena fuori città. Solo alcuni Si fanno fotografare, la maggior parte non vuole e reagisce stizzita, ma tutti sono incuriositi, passeggiamo con una piccola folla intorno tra cammelli, capre e vacche. Un cammello costa 1000 dollari, una capra 50 ma il prezzo varia con l’età. Alcune donne spavaldamente si mettono in posa (poche), le giovani fuggono poi ci inseguono, qualcuna più anziana si arrabbia perché le nostre compagne non hanno il velo. La guerra con la Somalia è finita 25 anni fa (1992) ma le ferite sono aperte. Hargheisa è stata semi distrutta, in gran parte è rimasta tale, si vedono resti di auto bruciate e case sventrate. Tutti dicono viva Somaliland e odiano la Somalia. L’Italia anche qui è ok. Nelle tre jeep abbiamo due soldati, quando il traffico si blocca nelle stradine uno scende e sblocca la situazione con sonore manate sui cofani e gesti aggressivi col calcio del mitra. Poi risale in macchina sorridendo. Tutte le donne sono coperte con hijab, che lascia vedere il volto, le giovani col niqab, che mostra solo gli occhi. I colori sono carichi, straordinari: magenta, fucsia, lilla, arancione, blu elettrico, ocra e verde. Forse il modo di esprimere la personalità… Per quanto diverse, devote o miscredenti, tra donne di culture così distanti si crea complicità. Si vede dagli occhi, incredibile strumento di comunicazione di queste donne imprigionate. Il degrado è devastante, non esistono marciapiedi; cespugli, angoli, lati e fiumi in secca sono invasi da plastica e rifiuti. Nel pomeriggio prendiamo il volo - in ritardo africano - per Gibuti. All’aeroporto ci vengono a prendere i nostri nuovi accompagnatori. Gibuti City, una cittadina completamente diversa, architettura coloniale decadente e decaduta, palazzi che fanno intuire antichi fasti - niente a che vedere con il Somaliland. Ma siamo sempre in centro Africa, il resto non cambia. Qui hanno sede alcune basi Nato molto importanti perché è un punto strategico sul corno d’Africa. Ci sono bar per i militari o turisti che costano come a Milano, alternati a locali più tradizionali che costano meno della metà. Facciamo una buona cena in un ristorante sul roof top di un vecchio palazzo, il pesce è servito su piccoli bracieri ardenti individuali. Ci hanno messo un’ora a servirci ma è piuttosto buono. La mattina il nostro autista viene brutalmente fermato e portato via dalla polizia poi si ripresenta 10 minuti dopo dicendo non è niente, e partiamo. Sarà stata una multa da saldare....la scena ricorda che c’è un altro senso del diritto qui, meglio stare in campana....così ci scordiamo di comprare la birra, che poi vicino al villaggio dove andremo costerà carissima. Il paesaggio cambia continuamente, collinare, piatto, brullo con acacie spinose e cespugli ocra, poi desertico.

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Le nuvole basse

fanno un’ombra

sulle colline sassose, brulle

una grande aquila sale

ci accompagna.

Passiamo dal piccolo al grande bara (deserto piatto, sassoso) sulla via per lac Abbè.

 

Bara

Cespugli ocra sulla terra grigia,

montagne scure tagliano di netto

un cielo azzurro pieno di nuvole sospese:

è la scena dell’acacia solitaria,

simbolo d’Africa.

 

Dopo una sosta in cui Jones sfoggia a dei francesi tutta la sua evidente americanità ci fermiamo in due villaggi man mano più poveri e semplici, il driver, che un Afar, ci porta a casa sua e poi alla capanna di un suo conoscente, fatta di legni e stuoie. Anche qui tanti bambini, ma pochissima acqua. Poi dopo una specie di valico lunare ecco apparire in lontananza dei faraglioni su una pianura enorme, ormai secca, disseminata di sorgenti fumanti d’acqua calda. Le strane rocce sono state formate da antichi fenomeni vulcanici. Sembra di camminare in una conca piena di castelli fatati. Da vicino si vedono facce, leoni, profili - un ammasso di figure urlanti e contorte sotto fiotti di lava bollente, a terra buchi anfratti fumarole, tutto rimanda a un’epoca infernale. Il tramonto qui è impressionante - ci si perde fra templi naturali che emanano un misticismo magico - e come le guglie e i picchi abbozzati sulla spiaggia versando rivoli di acqua e sabbia, si scioglieranno, in qualche centinaio d’anni. Prima questo spettacolo vulcanico era nell’acqua, il lago Abbé si è ritirato molto - pare per colpa di una diga costruita in Etiopia. Dormiamo in un accampamento di capanne tradizionali fatte di legni intrecciati e ricoperti - notte agitata dagli attacchi di zanzare, nonostante le zanzariere.

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Quando si spengono le luci l’intera calotta stellata si rivela. Ci sono così tante stelle che si fa fatica a riconoscere le poche costellazioni a me note - fra tutte Orione, proprio sulla testa, e Cassiopea, il Carro grande, lo Scorpione. E prima dell’alba, sale una falce di luna gialla, come fosse la ciotola in cui vanno a spegnersi tutte le stelle.

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Dopo l’alba salutiamo la distesa di templi, intercalati da fumarole di vapori e acque termali, spettacolo forse più suggestivo della spianata di Bagan in Birmania. Salutiamo anche i pastori i bambini le bellissime ragazze Afar.

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Corriamo con le jeep nel deserto piatto, si va a anche a 100 all’ora e oltre fuori strada in una specie di corsa in cui i driver si divertono. E anche noi. Passiamo vicino a un vecchio cimitero, nessun recinto, i corpi sono sotto cumuli di pietre. Passiamo vicino a un profondissimo wadi e poi visitiamo il Lac Assal - nome appropriato: lago a -155 m sotto il livello del mare, il punto più basso d’Africa, che a uno strato d’acqua salatissima profonda al massimo 20 m, e sotto uno di sale spesso 60-100 m. I nomadi per secoli hanno raccolto qui il sale per portarlo in Etiopia e oltre, a dorso di cammello, ancora lo fanno una carovana parte fra un paio di giorni, la seguirà una giornalista inglese conosciuta qui. E’ verde, azzurro e bianco. La striscia di terra che lo separa dal mare e piena di piccoli vulcani, alcuni attivi fino agli anni 70. Salendo si vedono i crateri, i canali lavici, e una fenditura di 10 15 cm che secondo la guida si allarga di 2 cm l’anno: presto il lago si riunirà al mare. Questa crepa è sintomatica e simbolica, da qui inizia la Rift Valley , una spaccatura della crosta terrestre che ha creato canyons e vallate nell’altopiano etiopico e scende giù fino al Mozambico. Potrebbe tagliare l’Africa, fra qualche milione di anni lo farà.

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Girata l’ansa del Golfo di Gibuti che abbraccia l’isola del diavolo, si sale sulla costa di fronte fino a Tagiura. E’ qui il residence du Sable Blanc, la meta rilassante del viaggio e la terza meraviglia da vedere: gli squali balena. Il villaggio è un ‘campement’ con una piccola struttura centrale che funge da ristorante, da un lato grandi tucul scoperti ai lati e vicini al mare, sotto i quali dormiremo alcune notti all’aperto, dall’altro una fila di camere d’albergo, semplici e confortevoli ma care, davanti alla spiaggia. Il prezzo del tucul è alto per una specie di campeggio (70 $ a testa pensione completa) e i servizi sono i peggiori: manca un lavandino e l’acqua corrente, ci si lava prendendo acqua da una tinozza con una ciotola. Ma la baia è bella, isolata, col mare più calmo che altrove. Notte tranquilla (non per tutti) sotto le zanzariere montate sulle brande, al mattino si va a caccia di squali balena. La barca ci viene a prendere da Gibuti e costa una fortuna (560 $), attraversiamo il golfo e dopo un po’ ecco le macchie scure a pelo d’acqua, ti tuffi e per qualche decina di secondi ti trovi davanti un bestione lungo 7- 8 m che passa placidamente vicino - si nutre di plancton. Chiara riesce a stargli vicina un po’ di più, nasce una storia :-) . Al rientro attraversiamo il golfo di Gibuti con mare un po’ mosso, si balla il barcaiolo da gas e ogni onda cozzando sulla chiglia della barca sembra poterla spezzare. Poi rallenta, deve cambiare tanica e una delle taniche non funziona. Per fare un travaso, il pescatore rompe una bottiglia di PET coi denti e crea una specie di imbuto: Alessio aiuta il travaso e si fradicia di benzina fino alle mutande ahi ahi ahi!!! Avevo temuto di essere finito in un imbuto, un posto isolato da cui non si può allontanarsi, ma basta qualche ora qui, un’immersione, e non te ne vai più... Passa un altro giorno, si va a Bankualé, villaggio in un luogo remoto nelle entroterra, bisogna fare una mulattiera da Jeep per quasi due ore, il paesino è vicino a un Canyon un po’ scenografico scavato da un antico fiume ormai secco. Non ho mai visto palme così alte. O tronchi così modellati dal sole da farne quasi una colonna vertebrale. Anche l’unica foresta qui vicina è morta poco tempo fa, scheletri d’alberi sbiancati testimoniano il disastro del global warming. La vita dipende da una sorgente e un pozzo: da qui un tubo che perde 1000 rivoli innaffia qualche orto con alberi di mango. Mancia, acquisti di artigianato locale, supportiamo i pochi abitanti rimasti qui, soprattutto bambini, donne e anziani.

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C'è un tale sciame di stelle stanotte

e il rumore di risacca a suggerire

che ci saranno tante altre vite

come quella tua splendida di oggi

altri incontreranno i bivi

prendendo l'altra strada

avranno occasioni da te solo sognate

invece del rimpianto solo gioia

mi portano con sé

nulla andrà perduto.

6/1/2019 Gibuti

 

Dopo alberghi senza acqua, brandine all’aperto con zanzariere rotte (ma col rumore di risacca a un passo!) E bagni senza lavandini, prendere una semplicissima stanza spartana con bagno funzionante è un gran lusso, una sciccheria! Al village du Sable Blanc si mangia anche bene rispetto al resto del viaggio, il menù (fisso) cambia ogni giorno e tentano di servire qualcosa di diverso: pancakes, gamberoni, persino pizza. Conosciamo una famiglia inglese di turisti, hanno 2 bambini di 8-10 anni, lei è una giornalista che gira il mondo e fa reportage per il Telegraph, il Guardian etc, in luoghi sempre diversi e fuori dal turismo di massa. Dove può si porta dietro marito e bimbi, li ha portati addirittura insieme a una carovana di cammelli, 8 ore di cammino al giorno. Penso ai bambini che conosco, altre vite… L’ultima sera preparano il tavolo e fanno un fuoco vicino alla battigia! Li copiamo subito, il giorno dopo. Pomeriggio Oggi la spiaggia di Gibuti è deserta sotto il sole, come Kerouac a Big Sur cerco di scrivere il silenzio, strisce d’azzurro nel blu chiazze di turchese, a riva la bassa marea ha scoperto una grande chiocciola di mare, qualche paguro raggiunge la battigia, anticipa la cerimonia serale una processione di granchi usciti dalle buche.

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Il riflesso delle onde

è un grande spettacolo di luci

come stelle o anime pulsanti

seguono il vento, forse un destino

frusciano le pagine del libro

ronzio di mosche, cinguettii,

l’uccellino dal petto verde smeraldo

sta facendo la sua ronda giornaliera

su campanule e oleandri

il silenzio suggerisce una falsa immobilità

mentre girano le ombre Kronos

ingoia pian piano un altro giorno

e noi assistiamo con dolcezza al rito,

quasi con riconoscenza.

8/1/2019

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MARE Un capitolo a parte l’immersione in mare, nella spiaggia delle sabbie bianche la barriera corallina arriva fino quasi a riva, incredibile sorpresa. Vai e ti accoglie una profusione di coralli e organismi marini somiglianti, sembrano piante beige con le punte lilla, Coralli verdi, rosa, bianchi, enormi ombrelloni calcarei - sembrano acacie di mare - negli anfratti madrepore violacee, verde ftalo, marroni che si chiudono ritmicamente, come respirassero, e poi l’oceano di pesci che ti viene incontro, anzi ti lasciano passare come fossi anche tu uno di loro, e i colori si fanno più vivaci: pesci striati azzurro e argento con la macchia arancio vicino alla coda, gli unici che a volte ti vengono contro come volessero morderti, scacciarti. Miriadi di pesciolini zebrati, pesci pappagallo dal verde pastello che vira in ocra e giallo, poi la serie di quelli piatti gialli strigliati di nero con sottilissimi pinnacoli Bianchi, in genere a coppie, blu elettrico con macchie arancioni e coda gialla, viola zebrati arancio, spesso il risalto lo dà il bianco e i colori opposti, e poi tra torri, candele e guglie costruite sulle rocce passa la razza grigia coi cerchi azzurri e la lunghissima coda, il pesce scatola ciccione e verdognolo con striature bianche sulla fronte, e ecco una tartaruga! Nuota tranquilla poi uno dei pesci blu la morde e lei si allontana… Sotto uno scoglio vengono fuori lunghissimi aculei neri di riccio, e vicino altri aculei bianchi e lilla: è una coppietta di pesci scorpione, se ne sta lì tranquilla con gli occhi che lampeggiano seminascosti, se li tocchi vai in ospedale. Tutta questa festa di forme e colori mi dà un senso allegro e fortissimo di vita, ci sono 1000 modi di venir su e svilupparsi e trovare la propria strada nella moltitudine, questo ammasso di esseri diversi convive in un’armonia sorprendente, fianco a fianco. Non ci si può stancare di guardarli, nuotare con loro illudendosi di vivere qui. L’unico paragone che mi viene in mente è la festa di colori dell’India, tutti i giorni ma specialmente durante Holi. Infatti come l’India e più, infonde gioia di vivere. Forse un piccolo coronamento di tutto ciò, sono i delfini che vengono nel Golfo a salutarci, l’ultimo salto all’unisono, le pinne in fila. Bye bye Gibuti!

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Appendice: una favola.

C’era una volta un Italian weather man, che come passatempo portava in Africa degli sconosciuti rimorchiati sul web. Un giorno a Istanbul ha incontrato sei nani rotti e sgangherati che invece di Biancaneve si trovano davanti indiana Jones, non si poteva sbagliare, era firmato con cappello, T-shirt e perfino mutande Jones. Ci si conosce: una nana si veste bene, sta sulle sue ma quando vuole rimorchia uomini e persino donne, l’unico problema è: dov’è la birra? Il suo lassativo è una sigaretta ed ha una speciale abilità a spaccare le scarpe..... Poi c’è un nano giallo alterna la normalità a momenti psicotici, se fai una foto stai certo che apparirà davanti all’obiettivo, è un disturbatore naturale ma rimorchia facilmente donne somale sdentate e sorridenti, per motivi ignoti ma di origine nevrotica parla con accento russo agli africani e li ringrazia in giapponese, ma la sua massima aspirazione è trovare uno zampirone. Poi c’è una nana viaggiatrice, che un viaggio ne fa, 100 ne pensa e 1000 ne parla parla e chi la ferma più, passa il tempo a rompere caffettiere e poi a perderle, e alla fine del viaggio sarà in ansia per aver fatto solo 2000 foto… Poi c’è una perfida albiona che dopo cena prova a fare lezioni di inglese, mangia come una bufala minuscole scatolette e per fortuna di tutti perde facilmente la voce ma meno male che c’è anche una nana alta sempre sorridente, si descrive come una semafora rossa, dorme a Cornaredo come ospite a casa sua perché in realtà vive a Milano, ovunque vada porta un comodo zainetto di 20 kg e quando l’inglese è in bagno fa la guardia... E l’ultimo nano sta in un’altra dimensione, un po’ assente un po’ presente, quando gli parli devi ripetere due volte (sarà sordo o distratto?), tiene così tanto agli abiti che non li cambia mai e ogni tanto si sveglia dai sogni ma il migliore resta sempre lui il militare anomalo dal pedalino sexy, col Ray-Ban raccattato in spiaggia e la benzina fino nelle mutande, un uomo che non deve chiedere, MAI!!!

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