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Ghana e Sao Tomé

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giovedì, 6 febbraio: si parte per questo viaggio che ho pensato da anni, quando su una rivista d’Africa lessi di “Carlotto Magno” un personaggio della tragedia del marchese di Mantova che, dispersa in occidente, sopravviveva e veniva rappresentata ancora a Sao Tomé, su questa piccola isola spersa nell’Atlantico. Quindi l’idea nasce da Sao Tomé, poi l’intuizione di unirlo al Ghana è grazie alla TAP, la compagnia aerea portoghese che prima di arrivare sull’isola fa scalo ad Accra, ecco il viaggio: una settimana in Ghana, la prima, più etnica e storica, e 5 giorni a Sao Tomé alla scoperta, tra mare, relax, foresta equatoriale e punto 0 del mondo. In 7 partiamo da Roma, 4 da Milano e ci riuniamo tutti a Lisbona per proseguire insieme, siamo ad Accra con qualche minuto di anticipo, subito e finalmente il caldo, in aeroporto subiamo i primi controlli per il corona Virus, prendiamo tutti i bagagli e siamo fuori, ad attenderci il simpatico Mohamed con il suo tipico intercalare e l’autista Appiah. Siamo sul coaster con tanta frutta ad attenderci, i manghi sono strepitosi, cambiamo i soldi e poiché c’è ancora luce ed è presto andiamo al mausoleo di Kwame Nkrumah, il padre della patria, colui che fece del Ghana la prima repubblica indipendente d’Africa, il 6 marzo 1957, cambiando il nome in “Ghana” appunto al posto del nome coloniale “Costa d’oro”. Il compianto presidente, leader del panafricanismo, è sepolto sotto ad un monumento che rappresenta un grande albero, accanto alla moglie, una sua statua indica il cammino al popolo; tutt’intorno c’è un bel giardino con diversi alberi di cui uno piantato da Giorgio Napolitano, poi un piccolo museo con diversi oggetti e foto che hanno segnato la vita di Nkrumah. Siamo quasi al tramonto, tutti molto stanchi e spaesati dal caldo e dal traffico infernale di Accra per arrivare all’hotel “Logess Estate Guesthouse”, sono le 19:00. Siamo in una graziosa villetta a conduzione familiare gestita da olandesi, un po fuori mano ma molto ben arredata e piacevole.

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venerdì, 7 febbraio: sveglia con il sole, una bella giornata e una bella colazione con le crepes che ci ha preparato la scorbutica ma dolce “Cristalball” la gran mama della guesthouse. Si parte alle 8.30, la prima sosta sarà alla “Jolinaiko EcoTours” la nostra agenzia per saldare il viaggio e qua finalmente conosco Agnes dopo circa 200 mail di scambio in questi mesi, una graziosa villetta tutta in legno tra ficus, cani, uccelli e galline, carinissimi ci regalano un marsupio ciascuno. Prima tappa Aburi, la strada inizia a salire e poco prima di arrivare voglio fare una sosta alla residenza di Rita Marley moglie di Bob, dove ha fondato la “Rita Marley Foundation e Studio of time e Experience”; Rita non c’è, ci viene ad aprire un vecchio strafatto che dice di essere il fratello, quindi cognato di Bob, che alla fine del suo discorso arzigogolato ci chiede i soldi per il disturbo, mah. Questa zona attorno ad Aburi è conosciuta per l’abilità degli artigiani ad intagliare il legno, andiamo in un mercatino poco prima di arrivare in paese, che si rileverà, almeno per me, il più bello del viaggio, almeno per la qualità e varietà degli oggetti in vendita. Dopo lo shopping, al giardino botanico che si presenta con un meraviglioso viale di palme: l’“Aburi Botanical Gardens”, a fine 800’ era un sanatorio per la colonia inglese grazie all’aria salubre e fresca di montagna, poi attorno si è sviluppato questo giardino che ha giocato un ruolo fondamentale nella produzione del cacao e della gomma ad inizio secolo. Il giardino di 65 ha, ospita numerose varietà di piante e uccelli. Noi facciamo una breve passeggiata botanica, la guida ci mostra diverse spezie tra cui la corteccia di cannella, il pepe, il mentolo, il curry, il cacao poi pranziamo con un panino nel ristorante annesso. Dopo pranzo la nostra giornata continua da “Cedi’s Beds”, una fabbrica di perle di vetro ad Odumase: ci illustrano tutto il processo di produzione fino alla vendita finale. Queste perle hanno un ruolo molto importante nella cultura Krobo, da più di 200 anni la famiglia Nomoda si occupa delle perle che vengono vendute ovunque nel mondo. Arriviamo all’ “Afrikiko River Front resort” di Atimpoku, un luogo bellissimo sul lago Volta che il sole è tramontato, quindi non resta che berci una birra sul lago, poi cena a buffet e bottiglia di “Amaro del Capo Riserva” per il dopocena, gentilmente offerta da Enzo e Gherta. 

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Sabato, 8 febbraio: lunghissima giornata di trasferimento, anche se da Atimpoku a Kumasi sono 240 km, arriviamo al “Catering Resort” solo alle 19:40. La prima attività della giornata è la gita in barca sul lago Volta, il lago artificiale più grande del mondo: una tranquilla e piacevole colazione in barca arriviamo fin sotto alla diga di Akosombo, poi si ritorna indietro fino al ponte sospeso: il lago è frequentato da tranquilli pescatori con le loro piroghe e qualche capanna qua e là sulle sponde. Subito dopo la barca, tempo di prendere le valige dalle stanze e si parte, non possiamo cambiare perché gli uffici di sabato sono chiusi, quindi si prosegue il viaggio. Attraversiamo villaggi e montagne, curve e su e giù, arrivati al centro ricerche del cacao non ci fanno entrare perché sabato, quindi diretti al “Bunso Arboretum Tropical Gardens” dove, oltre ad essere un bellissimo giardino, abbiamo la possibilità di fare una passeggiata di 45 minuti attraverso piante tropicali ed erbe officinali, inoltre alcuni di noi fanno il “canopy tour” il 2° per lunghezza del Ghana. Sosta pranzo in un autogrill con spiedini, panini e tanta musica a tutto volume. Proseguiamo per Kumasi ma prima di immergerci nel traffico della seconda città del Ghana, deviamo per i villaggi artigiani di Adawomase and Ntonso: il primo è carino, siamo nel cuore della cultura Ashanti e sono loro i tessitori dei tradizionali abiti, mentre Ntonso è più anonimo, ci illustrano come producono un colore nero, una specie di china e poi stampano i diversi simboli ashanti sui tessuti. Finalmente siamo arrivati a Kumasi che è quasi ora di cena, poi tutti a letto, domani c’è la festa Akwasidae

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Domenica, 9 febbraio: tutti in centro a Kumasi per la festa Akwasidae: L'Akwasidae Festival è celebrato dal popolo e dai capi Ashanti. Il festival si celebra di domenica, una volta ogni sei settimane e per importanza è secondo solo alle celebrazioni della Giornata Nazionale; poiché il festival si tiene sempre la domenica (Twi in Kwasidae), la sua ricorrenza potrebbe durare 40 o 42 giorni in conformità con il Calendario ufficiale degli Ashanti. L’Akwasidae è essenzialmente un rito di commemorazione degli antenati defunti: inizia con un raduno chiamato Akon, a suon di canti, tamburi e danze per onorare gli dei Abosom e Nsamanfo e offerte alimentari, di solito l’eto, un purè di patate guarnito con uova sode. In questo giorno, l'Asantehene (re di Ashante) incontra i suoi sudditi e capi subordinati nel cortile del palazzo Manhyia. Lo sgabello d'oro (trono) è esposto nel cortile del palazzo alla presenza del Re. Durante il festival le persone hanno la libertà di stringere la mano al Re che esce in processione su un palanchino decorato con gioielli d'oro. È anche testimone di una sfilata colorata, dal parco del suo palazzo a Kumasi. Tra i partecipanti alla sfilata ci sono battitori di tamburi, ballerini folk, suonatori di corno e cantanti. Poiché è una festa di rispetto per gli antenati, il Re successivamente visita il Mausoleo di Bantama pregando non solo alle sedie (sgabelli) dei suoi antenati, ma anche ai resti scheletrici dei suoi antenati. Alle 9 siamo già di fronte al “Manhya Palace”, quello che un tempo era la residenza del Re, mentre oggi è stato trasformato in museo della cultura Ashanti: nessuno sa di preciso quando inizierà la festa, forse alle 13 o alle 14, così noi iniziamo comodamente la visita per le diverse stanze che raccolgono statue, vestiti, oggetti vari di tutta la dinastia reale. Dopo il museo, la festa ancora non inizia, quindi andiamo al mercato Kejetia, a 200 metri dal palazzo, il più grande mercato di tutta l’Africa, visto dall’alto è un impressionante mare di botteghe di lamiera, un mostro dove si vende e si trova qualsiasi cosa. L’Akwasidae comincia alle 14:00 circa e termina alle 15:20, i preparativi sono lunghissimi e il tempo proprio della festa è molto ridotto; dopo la festa, visto che nessuno è riuscito a mangiare andiamo in un KFC per un fast food veloce e un po d’aria condizionata per aver refrigerio dal caldo. Il pomeriggio continua al centro culturale di Kumasi, dove, oltre ad esserci bei negozi di artigianato e un piccolo museo Ashanti che spiega in maniera molto più chiara e concisa la cultura ashanti rispetto al “Manhya Palace”, stanno celebrando molti matrimoni, quindi banchetti ovunque, spose e sposi, musica, tantissima gente, felicità in una parola, e noi siamo in mezzo. Ci divertiamo tantissimo, poi ritorniamo in albergo per la doccia e usciamo a cena per mangiare cibo ghanese tipico, ma, per i nostri palati è tutto terribilmente piccante.

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lunedì, 10 febbraio: oggi si scende, tutto a sud, verso il mare, da Kumasi al Ko-Sa beach Resort, la strada rispetto a quella dei giorni scorsi è migliore, più scorrevole e con meno villaggi che rallentano inevitabilmente. Però, purtoppo, è iniziato l’harmattan, il vento che viene dal Sahara, che da qui alla fine del viaggio ci avvolgerà con tutta la sua caligine e foschia, togliendo colori poiché trasporta sabbia, ed oggi la giornata è insopportabilmente calda, una continua cappa di sudore addosso. Alle 11.30 siamo ad Assin Manso, oggi è un piccolo villaggio sulla direttrice che collega Kumasi alla costa atlantica del Ghana, da cui dista 50 km. Due secoli fa, in questo luogo avveniva l'orrore quello che non ha bisogno di aggettivi, è orrore e basta. Assin Manso era un centro di raccolta, un campo di concentramento, dove arrivavano tutte le carovane di schiavi dell'Africa subsahariana, dopo giorni e giorni di marcia, centinaia di chilometri percorsi, nudi, legati e malnutriti questi esseri umani, queste creature di Dio per dirla nel gergo di un tempo arrivavano fin qui. E qui venivano selezionati, controllati, nutriti e lavati nel fiume, dove oggi c'è scritto "Last bath", veniva fatto il prezzo, donne e uomini separati, bambini pure, c'era una specie di mercato per i compratori, e poi tutti spediti nei castelli sulla costa: Elmina, Fort Amsterdam, Cape Coast castle in attesa del lungo viaggio vero le Americhe. Si riparte e ci fermiamo a pranzo in un autogrill sulla strada, riso e pollo fritto, poi alle 15:00 siamo al Castello di Cape Coast, candido, bianchissimo, sull’Atlantico e inizia la nostra visita tra queste mura dove la crudeltà ha imperato per secoli. Cape Coast Castle è uno dei circa trenta "castelli degli schiavi" o grandi fortezze commerciali, costruite sulla Costa d'Oro del Ghana, dai commercianti europei. Fu originariamente costruito dagli svedesi per il commercio di legname e oro ma poi utilizzato nella tratta atlantica degli schiavi africani. Insieme ad altre fortezze simili, esso fu utilizzato per ospitare gli schiavi prima di essere caricati sulle navi e venduti nelle Americhe, in particolare nei Caraibi. Infine e finalmente allo splendido K-Sa beach, facciamo persino in tempo a farci un bagno dove la corrente è talmente forte che è come nuotare su un tapisroulant d’acqua. Ottima la cena, la più buona con seppie al sugo, gamberi in salsa, aragostine, purè di patate, pesci arrosto e insalata. Finiamo la serata chiaccherando in spiaggia, sotto alle palme con un bicchiere di ron. 

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Martedì, 11 febbraio: dopo colazione, sulla spiaggia, guardando il mare, momenti che adoro, si parte per il “Kakum National Park” che dal Ko-Sa dista poco meno di un’ora di strada: il parco immerso nella foresta equatoriale ha come attrattiva principale il “canopy tour” il più lungo ed alto del mondo che si tiene essenzialmente su 3 alberi portanti, sono circa 350 metri di passerelle: il parco ha un bel “Visitor’s Center” con bar, ristorante e negozi turistici. Dopo la divertente passeggiata tra gli alberi, la direzione è verso il castello di Elmina, il più celebre tra tutti, ma prima di arrivare ci fermiamo a mangiare un hamburger in un ristorante sul mare con vista castello da lontano. Il castello di Elmina è il più antico edificio europeo dell'Africa subsahariana. Fatto erigere da Giovanni II del Portogallo nel 1482 come centro di scambio commerciale di nome Castelo de São Jorge da Mina (Castello di San Giorgio della Miniera), la fortezza, nota anche semplicemente come Mina o Feitoria da Mina, sorge nei pressi dell'attuale città di Elmina, in Ghana. Dopo la sua occupazione da parte dei Paesi Bassi nel 1637, rimase sotto il controllo degli olandesi sino al 1814. Nel 1872 la Costa d'oro olandese passò all'Impero britannico. Nel 1957, con l'indipendenza del Ghana, il controllo della fortezza divenne appannaggio della colonia britannica. Questo castello, dove fu girato il film di Herzog “Cobra verde” è sito Unesco e sicuramente è al mondo, una delle testimonianze più tristi e crudeli dello schiavismo; dopo torniamo al Ko-Sa, ci sono ancora due ore di luce disponibili per godersi un po’ il mare, passeggiate sulla spiaggia, bagni contro corrente, letture e cocktail. 

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Mercoledì, 12 febbraio: Oggi ritorniamo ad Accra, ritorniamo al “Lodgess Estate Guesthouse” l’alloggio della prima notte, dove abbiamo lasciato parte dei nostri bagagli, tuttavia prima di arrivare sono tante le attrattive: la prima è Fort Amsterdam, più piccolo e non stuccato di bianco come gli altri due, assomiglia più a un castello medioevale in Africa. Fort Amsterdam ha sicuramente il suo fascino, dalla sua sommità, in cima al promontorio, si domina tutta la baia Abandze da una parte e dall’altra di Kormantse; proprio da Kormantse deriva il nome “cormantines” per gli schiavi che finivano nelle piantagioni caraibiche, e, un “cormantino” era Louis Armstrong. Pranzo in un modernissimo centro commerciale alla periferia di Accra, con pizza e subito dopo siamo a Jamestown e Usshertown, il primo insediamento inglese e il primo insediamento olandese in Ghana, oggi è un po’ come se fosse Accra marina: entrambi i vecchi quartieri, uno di fianco all’altro, sorgono nel “Ga Mashie” il nome tradizionale dell’area, e fanno capo al Re dei Mantses dell’etnia Akan, che abita nel palazzo reale. A noi non è concesso incontrarlo, ma possiamo visitare tutte le case o baracche costruite attorno al palazzo che ospitano gli innumerevoli membri della famiglia reale; di fronte al palazzo un campo da calcio polveroso, poi il faro di Jamestown e scendendo il vecchio porto dei pescatori dove la vita brulica ovunque, si vive nel porto, migliaia di barche in legno, baracche, negozi e venditori, un po’ un inferno dai mille colori. Seguendo la litoranea ci fermiamo per la foto all’arco simbolo dell’indipendenza del Ghana, che tiene una stella nera al centro, e qui sorge piazza dell’Indipendenza, un monumento in perfetto stile sovietico voluto da Nkrumah. Terminiamo il nostro giro di visite al “Coffin Shop” ovvero i falegnami che costruiscono bare dalle forme più bizzarre: peperoncino, aquila, scarpa, camion, bottiglia, … un luogo dove questi artigiani possono veramente dare libero sfogo alla propria fantasia, unico al mondo tra l’altro. E’ quasi sera e riprendiamo, nel traffico, la strada per l’hotel. 

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Giovedì, 13 febbraio: sostanzialmente abbiamo visitato tutto il possibile, manca solo il “Du Bois Memorial Center”, quindi sveglia tranquilla, partiamo alle 10.30 dalla guesthouse perché abbiamo il volo per Sao Tomé alle 16 e dobbiamo “perdere” un po’ di tempo per non arrivare troppo in anticipo in aeroporto, così ne approfitto per andare dal barbiere e aggiustarmi barba e capelli. Il “WEB Du Bois Memorial Center for Pan-African Culture” sorge in quella che fu la casa di Du Bois durante i suoi ultimi anni in Ghana: Du Bois fu un attivista per i diritti civili dei neri, saggista, storico e poeta statunitense naturalizzato ghanese, nonché uno dei leader del panafricanismo. Visitarne la casa è emotivamente importante, poiché quasi si entra dentro al quotidiano di quest’uomo morto ormai da 60 anni, nel 1963 a 95 anni, ironia della sorte, il giorno prima che Martin Luther King pronunciasse il suo celebre discorso “I Have a Dream”. Siamo arrivati quasi all’ora di pranzo, in un “Burger King” accanto all’aeroporto, veloce ed economico, anche perché i nostri “cedis” a disposizione sono quasi finiti. In aeroporto il volo TAP per Sao Tomé ha un ritardo di soli 30 minuti, eseguiamo tutte le operazioni di check-in con calma e siamo a bordo per quest’isola nel mezzo dell’Atlantico. Scendiamo dall’aereo che è già buio, le formalità doganali sono abbastanza veloci e fuori c’è la nostra guida/autista Anastasio ad aspettarci; a 6 km siamo già in centro a Sao Tomé città, ci sistemiamo al “Residencial Avenida” proprio dietro al palazzo presidenziale, e a cena andiamo da “Sum Secreta” e qui possiamo da subito assaggiare le meraviglie della cucina saotomese: pesce abbinato spesso con frutti tropicali, tutto buonissimo, eccellente, ma sarà una costante per tutta la nostra permanenza. 

Venerdì, 14 febbraio : il risveglio a Sao Tomé è bellissimo, fa caldo, c’è il sole e iniziamo subito la giornata con l’esplorazione della parte centrale dell’isola, per gran parte ricoperta dalla foresta equatoriale che fa parte del parco nazionale Obò rappresentante il 30% di tutto lo Stato. Si sale dunque, dal livello del mare con il pulmino fino al giardino botanico del “Bom Sucesso” a 1153 metri di altitudine, l’ultima parte si sale sul pavé, lungo la strada passiamo per Trinidade, la seconda città che ospita la “Quinta da favorita” la villa dell’anziano ex presidente della repubblica Fradique de Menezes. Il “Bom Sucesso” è la base di partenza per qualsiasi trekking, anche per i più impegnativi che durano più giorni: qua ci sono le guide del parco e un grazioso giardino botanico. Il nostro percorso si inerpica fino ai 1475 metri della Lagoa Amèlia un cratere che ospita al suo interno le sabbie mobili, infatti deve il nome ad Amèlia, una ragazza che con il suo cavallo esplorò la zona ma sparì per sempre inghiottita dalle sabbie, almeno così recita la leggenda. Il percorso per salire è mediamente impegnativo, a tratti molto scivoloso soprattutto se dovesse piovere, è consigliabile affrontarlo con scarpe idonee e pantaloni lunghi per evitare di pungersi o irritarsi con le erbe; la prima parte attraversa campi coltivati ad ortaggi, poi la foresta fino in cima, in tutto, il percorso trekking è durato 3 ore e mezza, e devo ammettere che non abbiamo patito il caldo nonostante l’orario centrale. Ritornati al giardino botanico belli stanchi e sudati, andiamo direttamente a mangiare nella zona di Monte Caffè che è poco sotto, al ristorante storico “Casa Museo Almada Negreiros” in una bella casa tradizionale restaurata: il menù consiste in due antipasti, un piatto principale e un dessert, tutto eccezionalmente buono gustato su una bella terrazza sulla valle, che però vediamo poco poiché ci avvolge la nebbia. A prendere il caffè naturalmente andiamo al “Museo del Caffè” che sorge nella fattoria, o meglio “Roca”, di Monte Caffè, un vecchio edificio coloniale restaurato: qua ci offrono un ottimo caffè, si può scegliere la miscela arabica, robusta o blend e poi ci mostrano tutta la filiera di produzione del caffè, dalla raccolta alla vendita finale. Ultima visita della giornata, a 2,5 km da Monte Caffè, le cascate di San Nicolau, un bel salto di 30 metri e sotto, a doccia, è possibile fare il bagno. Ritorniamo in città, c’è ancora tempo e soprattutto luce per fare una bella passeggiata sul lungomare, arrivare al forte e ritornare indietro, tanto per rendersi conto quanto effettivamente è piccolina, una bomboniera tropicale. Stasera cena da “Dona Teté” il ristorante preferito dei santomesi, dove naturalmente si mangia pesce, arrivarci però non è semplice, è un ristorante che bisogna conoscere poiché sembra di andare in mezzo a capannoni e canali, da cui escono granchi di mare

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Sabato, 15 febbraio: oggi andiamo a Sud, lasciamo la città per andare sull’equatore, al punto 0. La strada è abbastanza buona, qualche km fuori dalla città c’è una base militare USA che non poteva mancare, poi si attraversano tanti piccoli villaggi come Santana, Ribeira Alfonso, Ribeira Peixe, Sao Joao dos Angolares, quest’ultimo ha una storia importante: infatti nel 1544 una nave carica di schiavi proveniente dall’Angola naufragò in questa baia e gli angolani fondarono questo villaggio senza però venire in contatto con il nord, solo nel 1693 si accorsero di non essere i soli sull’isola, e ci fu addirittura una guerra. Dopo Ribeira Peixe, gli ultimi 20 km di strada, peggiorano notevolmente, l’asfalto è in via di rifacimento ed è qua che iniziano sterminate piantagioni di Palma da olio e soprattutto si ha la vista sul “Cao Grande” il  simbolo di Sao Tomé, un monolite basaltico che si erge solitario a 750 metri di altezza, scalato per la prima volta da italiani nel 2001. Arriviamo finalmente a Porto Alegre,l’ultimo villaggio del sud, dove la strada finisce: un animato villaggio di pescatori e qui prendiamo tre lance a motore che ci porteranno all’ Ilheu das Rolas, l’isola di fronte, a nemmeno 2 miglia marine, dove passa l’equatore, il punto 0, anche se realmente si tratta del punto di terra più vicino al punto 0, poiché come longitudine siamo spostati di 6°est, il vero punto 0 è nell’oceano e segnalato da una boa. Il mare è turchese, pulito, sbarchiamo sulla spiaggia dove c’è l’unico villaggio presente sull’isola, di 200 abitanti, non hanno scuole, negozi, niente, i bambini ogni giorno vanno a Porto Alegre per studiare, mentre gli abitanti vivono di pesce e frutti tropicali, c’è qualche banchetto che vende maschere ed oggetti in legno molto ben fatti. Dalla spiaggia dello sbarco, una breve passeggiata tra un fitto palmeto da cocco, ci porta all’agognato punto 0, qui su una terrazza panoramica c’è una specie di cippo e un mosaico colorato a terra che rappresenta tutto il mondo; dopo la foto di rito e tanto sudore per arrivarci perché fa veramente caldo, scendiamo giù, su un’altra spiaggia, direi una meravigliosa spiaggia bianca con mare turchese dove ci tuffiamo all’istante e godiamo per 3 ore di questo incredibile, selvaggio ed esotico paradiso; qua consumiamo anche il pranzo, le donne del piccolo villaggio ci portano ottimi pesci alla griglia e birra artigianale, è tutto incredibilmente bello e buono. Ritorniamo all’isola di Sao Tome, e da Porto Alegre andiamo al “Praia Inhame EcoLodge” che dista in linea d’aria 2/3 km, ma la strada è pessima: il luogo invece è un altro paradiso, a parte i lodge in legno spaziosi e ben arredati, l’ottimo ristorante e la spiaggia dove le tartarughe marine vengono a deporre a novembre/dicembre e le uova si schiudono due mesi dopo, cioè, adesso. Molto vicino a Praia Inhame c’è un altro lodge, “Nguemo”, ha una bella vista sulla spiaggia sottostante ma non è così bello. Quindi dopo cena, assisteremo ad un incredibile fenomeno naturale, i piccoli tartarughini appena usciti dall’uovo prenderanno il mare, affronteranno l’oceano con i suoi mille pericoli, e un giorno, quando saranno abbastanza grandi ritorneranno a Praia Inhame per deporre le loro uova, nella stessa spiaggia in cui anni prima sono nati. Naturalmente deposizione, schiusa e avviamento al mare è tutto controllato dall’uomo, altrimenti se fosse stato naturale, su questa spiaggia il lodge non poteva starci; così ogni anno quando arrivano le tartarughe a deporre sulla spiaggia, le loro uova vengono raccolte e messe in un’area apposita protetta dalla rete per impedire ai cani o agli uccelli di andare a scavare, poi al momento giusto della schiusa i piccoli vengono accompagnati, di notte con il buio poiché devono seguire la luce della luna, al bagnasciuga dove inizieranno il loro incredibile viaggio.

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Domenica, 16 febbraio: anche oggi giornata altrettanto intensa e piena, dobbiamo ritornare a Sao Tome, questa volta fermandoci sulla strada nei punti di interesse, poi andare a dormire a nord, Mucumbli, praticamente percorreremo tutto le strade perimetrali di Sao Tomè, circa 110 km, tenendo presente che il lato ovest dell’isola non ha strade, ma solo sentieri trekking nella montagna. La prima sosta alla cascata del Rio Grande dove c’è un piccolo villaggio pieno di bambini bellissimi, questa cascata è praticamente sul mare, e il popolo la usa per lavare gli indumenti e il corpo; sosta successiva a Praia 7 Ondas, una spiaggia piena di surfisti che si divertono a cavalcare le onde come dice il nome appunto, oppure giocano a calcio sulla spiaggia e offrono latte di cocco appena raccolto. Altra sosta a “Boca do Inferno”, qua la costa non ha spiaggia ma rocce basaltiche, belle nere, che nella loro disposizione formano un canale dove entra l’acqua, comprime la sua forza e poi esplode: un bellissimo spettacolo naturale, racconto la leggenda che il padrone della “Roca Aqua Ize” un giorno fini lì dentro con il suo cavallo e arrivò fino a Lisbona da cui poi ritorno 7 giorni dopo, anche se finire dentro a “Boca do Inferno” equivale a morte certa. A monte della “Boca do Inferno”, circa 1 km di strada, c’è la “Roca Aqua Izé” la più grande piantagione di cacao e caffè ancora in attività, “Roca” sta per fattoria, fazenda e tutta l’isola è piena di Roca, risalenti tutte al periodo coloniale. Ad “Aqua Izé” merita la visita dell’ex ospedale che oggi è abitato dalla popolazione locale, dai più poveri che non possono permettersi una casa o una baracca: tipica e scenica è la scalinata a chiocciola dell’ingresso e la planimetria a 4 ali, due per gli uomini e 2 per le donne. Arriviamo a Sao Tomé giusto per l’ora di pranzo, andiamo al ristorante “Filomar” sulla bella terrazza con vista sul golfo, e sicuramente tutti noi ricorderanno le banane fritte a rondelle, buonissime. Poi alle 15:30, tutti ad assistere al “Tchiloli” in lingua santomese, ma conosciuta come “La tragedia del marchese di Mantova”, una tragicommedia del 1500 portata dai coloni portoghesi e poi modificata negli anni da sfumature afro-equatoriali, mentre da noi in occidente se ne è completamente persa la memoria, messa in scena all’aperto in un piccolo villaggio dopo Trinade. Il Tchilolì è uno spettacolo complesso che mette in gioco la satira, la commedia dell’arte, il seicento e il teatro barocco, oltre ad un’intera filosofia della sopravvivenza delle tradizioni umane nelle situazioni limite. Il Tchilolì mette in scena la tragedia del Duca di Mantova alla corte Carolingia. La vicenda (in portoghese antico misto a criollo forro, uno dei dialetti locali) narra dell’assassinio di Valdevinos, nipote del duca di Mantova, da parte di Carlotto, figlio di Carlo Magno e del processo che segue alla richiesta di giustizia dei famigliari della vittima. La rappresentazione inizia col funerale-corteo dei figuranti, rigorosamente maschi e mascherati, che vestiti di costumi eterocliti (guanti bianchi, crinoline, bicorni, bastoni da passeggio) trasportano una piccola cassa da morto accompagnati da una banda "pifferi e tamburi di napoleonica memoria" e dal solito stuolo festante di ragazzi nello spazio scenico simile al Maggio. La lunga narrazione (2 ore) narra del processo amministrato dal Ministro della Giustizia, delle testimonianze, degli Avvocati e delle loro arringhe, di una perizia calligrafica e dell’inevitabile sentenza; il tutto trapuntato dagli interventi della banda che riproduce con strumenti africani una fanfara Portoghese e sottolinea i momenti salienti della vicenda. Lasciamo il piccolo villaggio del Tchiloli tutti felici ed entusiasti, ma è quasi buio e dobbiamo ancora arrivare a Mucumbli, circa 27 km nord, nord/ovest. Il “Lodge Mucumbli” e poco fuori al villaggio di Neves, è un’oasi di bellezza, arredi ricercati e fatti a mano, vista eccellente sul mare e, manco a dirlo, un’ottima cucina santomese con influssi italiani che esaltano il tutto. 

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Lunedì, 17 febbraio: la giornata di oggi prevede un’esplorazione di tutto il nord, la cioccolateria di Claudio Corallo con ritorno in serata a Mucumbli. Andiamo alla vicina “Roca de Ponta Figo” con l’idea di fare una passeggiata tutt’attorno alla piantagione, con la possibilità di vedere come il cacao viene trattato dalla raccolta sino al seme secco da esportare per la produzione di cioccolato: tuttavia, il tempo peggiora, arriva il vento che precede il temporale e soltanto una parte del gruppo farà il trekking, mentre la restante parte tra cui io, preferisce non bagnarsi e aspetta alla scuola materna di Ponta Figo, che si rileverà una piacevole sorpresa, con canti e tanto divertimento assieme ai bambini, dolci e sorridenti. La giornata è piovosa, continua incessantemente, scendiamo allora al “padrao” ovvero alla croce, usanza portoghese di metterne una dove avviene il primo sbarco, infatti è qui che il 21 dicembre 1470 i navigatori Pero Escobar e Joao de Santarem scoprirono Sao Tomé, scoglio disabitato nel mezzo dell’Atlantico, quindi saliamo alla “Roca Diogo Vaz” poco sopra al padrao, ma piove talmente tanto che non scendiamo. Proseguiamo questa mattinata bagnata verso il villaggio di pescatori di Santa Caterina, laddove finisce l’asfalto e la strada, senza scendere dal pulmino, per arrivare passiamo sotto l’arco, una breve galleria fatta per superare la scogliera che cade in mare, anch’essa tra i simboli di Sao Tomé. Pranzo a “Roca Monte Forte”, sopra Mucumbli, che ha una bellissima terrazza ma purtroppo le condizioni meteo tolgono i colori, sbiadiscono tanta bellezza, così tanto verde che finisce nel mare turchese. Nel pomeriggio invece si ritorna in città, per la visita guidata di ogni lunedì alle 16:40, alla cioccolateria di Claudio Corallo, l’italiano più famoso di Sao Tomé, nonché l’unico al mondo che produce cioccolato dove raccoglie il cacao, ma soprattutto il signor. Corallo produce il cioccolato più buono del mondo certificato. La visita inizia puntuale e c’è proprio lui in persona: parla in italiano con accento toscano per noi, e francese per gli altri presenti, racconta un po’ la sua incredibile vita prima in Congo come coltivatore di caffè, poi la sua intuizione per creare una selezione eccellente di cacao a Sao Tomé, quindi segue una degustazione dei vari tipi, con diverse percentuali e aromi di fondente, che produce. Visita molto interessante, ritorniamo a Mucumbli che praticamente è ora di cena, e già, l’ultima cena tutti insieme, festeggiata con un buon ron “Edmund Dantes” portato da Enzo e Gherta. 

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Martedì, 18 febbraio: ultimo giorno che si concluderà con partenza finale alle 20.30 per Accra scalo tecnico, poi Lisbona cambio, quindi Roma dove arriviamo il 19 febbraio mattina, alle 10:30. Iniziano i primi saluti, c’è che si trattiene altri 2 giorni a Mucumbli, chi va a Principe e noi, la maggioranza, che riprende il pulmino insieme ad Anastasio e fa la prima sosta alla Lagoa Azul, una piccola baia con un bel mare turchese e un faro. Poi visitiamo la “Roca Agostino Neto” dal nome del presidente angolano che qua venne in visita negli anni 70’, è la Roca più grande dell’isola, enorme, con un villaggio sottostante annesso per i lavoratori e un ospedale anch’esso abbandonato e abitato dai più poveri. Proseguiamo quindi per Sao Tomé city, andiamo all’ONG “Alisei” gestita da italiani che produce prodotti equo-solidali, farine varie tra cui di banana e frutta tropicale secca. Pranzo da “Papa Figo” il miglior ristornate di Sao Tomé, frequentato dai membri del governo; portano piatti pieni di pesce, di tutto, ma non ho tanta voglia, ho il magone per l’approssimarsi della partenza. Nel primo pomeriggio, manca ancora il museo della storia di Sao Tomé ubicato all’interno della fortezza con faro annesso: il museo è pieno di oggetti appartenuti ai coloni portoghesi, statue sacre antiche ed impolverate, indumenti coloniali, vecchie foto, cristalliere, azulejos, argenterie, personalmente mi è piaciuto moltissimo poiché in esso ho rivisto il Portogallo di un tempo, quel cattolicesimo barocco ed eccessivo, esportato nelle colonie. Terminiamo tutte le visite con il mercato coperto, troppo affollato; poi prendiamo una guesthouse per passare qualche ora prima del volo e soprattutto fare una doccia. Sta quasi calando il sole quando Anastasio ci accompagna in aeroporto, partiamo con il buio, volo regolare e ritorno a Roma in una giornata umida e piovosa. 

grazie a tutti i componenti del mio gruppo che hanno reso questo viaggio eccezionale !!!!! alle guide sempre professionali e simpatiche, a tutte le persone cordiali, sorridenti e disponibili che abbiamo incontrato in queste due settimane d’Africa.