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Harar, Somaliland e Gibuti

Finalmente è l’aggettivo per questo viaggio, perché ho iniziato a pensarlo nel dicembre 2016, l’ho proposto tre volte e per due ho fallito, quindi l’ho spostato sotto le vacanze natalizie (periodo dove difficilmente viaggio) ed eccomi qua a raccontarlo. Quindi grazie ai miei 6 compagni di viaggio innanzitutto, alle tre diverse agenzie dei tre paesi che ci hanno supportato logisticamente direi in maniera perfetta, perché tutti insieme abbiamo contribuito alla realizzazioni di questo viaggio, dall’itinerario inusuale, a volte dentro e a volte fuori dai circuiti turistici. Un percorso così variegato che ci ha permesso di salire su treni, aerei, bus, macchine, 4x4, barche, attraversando 3 frontiere nel cuore del corno d’Africa incontrando popoli, villaggi, città, natura, vulcani, mare e riposo finale. Quindi sono estremamente soddisfatto e felice, poiché questo viaggio, molto più di tutti gli altri, è stata una mia idea, e lo rifarei altre mille volte.

27 dicembre, giovedì: partenza con volo Turkis, alle 11:30 da Roma e da Milano, scalo ad Istanbul dove ci incontriamo tutti e proseguimento per Addis Abeba dove atterriamo puntuali all’01:00am. Molto velocemente prendiamo il VISA di ingresso (50 $) e subito in albergo, Hotel “Venice” vicinissimo all’aeroporto.

28 dicembre, venerdì: ci svegliamo con calma e alle 09:30 siamo all’Ambasciata del Somaliland di Addis Abeba, tappa obbligata per prendere il VISA di ingresso in Somaliland al costo di 100 $. Intanto che aspettiamo, l’ambasciatore stesso ci riceve, introducendoci alla pacifica realtà del Somaliland guadagnata con forza ed orgoglio dal suo popolo, dopo 30 di vessazioni e guerra con la Somalia. Ci incoraggia ad investire in Somaliland, uno Stato molto povero, formalmente non riconosciuto dall’ONU, ma a tutti gli effetti indipendente e che, storicamente, corrisponde all’ex Somalia Britannica. Dopo questo incontro formale ma comunque piacevole ed interessante andiamo a visitare la cattedrale della Santissima Trinità di Addis Abeba, dalle vetrate colorate ma soprattutto con le tombe del Re dei Re Haile’ Selassié e sua moglie. Poi al Museo Nazionale, per la seconda volta e finalmente vedo lo scheletro originale di Lucy che è ritornato a casa dopo lunghi anni di pellegrinaggio per i musei americani ed europei. Pranzo, e nel pomeriggio visita al museo etnologico ospitato nell’ex Palazzo Imperiale del Negus, sempre interessante e per me carico di significati. Stanchi delle visite siamo alla ricerca di negozi d’artigianato, andiamo a quelli sotto all’hotel “Hilton” di pregio ma costosi e nel frattempo Taddeus, il nostro autista, chiude la macchina con le chiavi dentro, quindi dobbiamo aspettare forzatamente in un bar bevendo un caffè o un thè. Prima di tornare in albergo, su mia esplicita richiesta, cerchiamo il “Club Juventus” di Addis Abeba, dovevo fare la foto ! Ceniamo allo “Yeshi-Buna” una specie di catena di ristoranti a cibo etiope, e infatti ci portano un enorme piatto di zighinì da mangiare tutti insieme.

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29 dicembre, sabato: oggi è il giorno del lungo trasferimento fino ad Harar e, poiché abbiamo il pulmino, decidiamo di spezzare il viaggio, un pezzo in treno fino a Nazareth dove ci aspetta Taddeus per poi proseguire ad Harar. Prendere il treno era un mio pallino, poiché questa nuova ferrovia è stata inaugurata grazie ai cinesi due anni fa, il treno copre la tratta Addis Abeba/Gibuti nei giorni dispari e viceversa nei giorni pari. Non abbiamo percorso tutto in treno fino a Dire Dawa (50 km da Harar) perché là il treno arrivava alle 15:30 mentre con il pulmino siamo arrivati alle 21:00 in albergo, dopo un estenuante viaggio tra curve, controcurve, villaggi e dossi di ogni genere. La stazione di Addis, si chiama “Labu” è un po’ fuori città, impieghiamo quaranta minuti per raggiungerla, il biglietto fino a Nazareth è molto economico, solo 136 Birr, circa 4 euro, il treno è pulito, spazioso, puntuale, semi-vuoto, con hostess etiopi ma capitreno cinesi, e funziona elettricamente. Insomma un ottimo mezzo di trasporto, a saperlo prima avremmo fatto partire il pulmino alle 5 del mattino e noi in treno fino a Dire Dawa. Sosta pranzo ad Awash in un ristornate sulla strada, e poi di nuovo a bordo, paesaggio monotono. Un piccolo incidente, Taddeus ha investito e ucciso sul colpo un capretto, ci ha fatto perdere un po’ di tempo nella contrattazione del prezzo del capretto da rimborsare al proprietario. Chiaramente quest’ultimo, forte della nostra presenza e aizzato dalle donne, ha sparato un prezzo altissimo che poi più o meno per andarcene in fretta abbiamo pagato. Arriviamo al “Wonderland Hotel” di Harar stanchissimi, tempo di cenare e a letto.

30 dicembre, domenica: city tour di Harar Jugol, Harar “la bella”… dopo colazione siamo pronti, a piedi, ad esplorare la mitica Harar, da sempre una delle città più affascinanti d’Africa, grazie soprattutto al poeta Arthur Rimbaud che qua visse parecchi anni, commerciando armi ed avorio. Svoltando l’angolo del nostro hotel c’è subito la porta principale di Harar, quella con la foto dell’Emiro, il “main gate” del centro storico. Oggi purtroppo è domenica e il 90% delle botteghe sono chiuse, quindi non abbiamo quell’impatto scenico che solo i mercati d’Africa sanno dare. Tuttavia alcuni negozi di artigianato sono aperti, per vendere ai turisti chiaramente. In mattinata visitiamo il museo “living” niente di particolare, la casa di Rimbaud che invece è molto bella soprattutto al piano superiore con la pianta ottagonale e le vetrate colorate, ed entriamo in una casa tipica oggi trasformata in “guest house” piena di ceramiche colorate appese e all’ingresso divisa in 5 piani differenti ognuno con il suo significato particolare. A pranzo andiamo all’ “hotel Ras” e mangiamo così bene che ci torniamo pure per cena. Nel pomeriggio con il pulmino vediamo le 5 porte di Harar, tra qui quella di nord/est dove fece il suo ingresso Richard Burton; poi entriamo in un’altra casa tipica per assistere alla tostatura e torrefazione del caffè e alla fine ne beviamo uno ottimo, al di là della trasformazione è stata una bellissima passeggiata poiché ci siamo ritrovati in un quartiere della città vecchia pieno di vie e case colorate. Attraversando il viale principale “Haile Selassiè” ritorniamo in albergo e alle 18.30 con il pulmino andiamo ad assistere al pasto delle iene, oggi una buffonata turistica un tempo un

rito per tener lontano dalla città questi animali. Giornata finita, molto intensa, Harar probabilmente andrebbe curata di più, qualche barattolo di vernice per dare più colore e diventerebbe meravigliosa.

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31 dicembre, lunedì: ultimo giorno dell’anno e noi entriamo in Somaliland, nello Stato che non esiste: si parte da Harar alle 07:40 e, a parte il tratto iniziale di strada fatto di curve e villaggi, si attraversa la valle di Babile o delle meraviglie con belle rocce alcune in equilibrio, il paesaggio diventa dritto e monotono, tagliamo in due l’altipiano e alle 11:20 siamo a Togochale alla frontiera. Qua ci aspettano Abdi e Mohamed i due somali che sono venuti a prenderci, parlano pochissimo inglese, giusto l’essenziale per capire. Togochale è un caos, timbriamo il passaporto in Etiopia e siamo in Somaliland, altro timbro e siamo dentro, finalmente. A disposizione abbiamo 3 jeep, con 3 autisti e 3 soldati di scorta, quest’ultimi saranno molto utile nel traffico di Hargeysa per far spostare le macchine con il kalashnikov. Dopo un’ora siamo ad Hargeysa, una città dissestata, bombardata, piena di baracche, buche e polvere dove spiccano solo i palazzi degli alberghi. Pranziamo in hotel, poi alle 16:00 andiamo a visitare la città, ci guardano un po’ come extraterrestri, in effetti non credo siano abituati ai turisti. Naturalmente visitiamo il monumento al MIG somalo abbattuto dalla contraerea del Somaliland, il simbolo della lotta per l’indipendenza, poi il mercato nero dei cambiavalute dove pacchi e pacchi di soldi sono esposti come fosse pesce, e più o meno una banconota da 50 euro corrisponde ad una scatola di scarpe zeppa di queste banconote. Poi c’è il quartiere degli orafi e tanto caos, alle 18:00 insistono per riportarci in hotel, loro dicono per la sicurezza io penso che si vogliano un po’ riposare. Per il cenone di capodanno scegliamo il miglior hotel della città, l’hotel “Mansour” cibo buono ma niente di eccezionale, peccato perché non ci fanno entrare con il panettone e la bottiglia di spumante, resistiamo a tavola fino alle 23 circa, decidiamo così di brindare e festeggiare il nuovo anno nella hall del nostro hotel. Qua in Somaliland di festeggiamenti non se ne parla proprio, sembra che non lo sappiano.

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1 gennaio, martedì: una calma e tranquilla colazione con burro lurpak (inspiegabile come sia finito qui) e marmellata, quindi alle 09:00 partiamo per il sito di arte rupestre di “Laas Gaal”, il motivo principale della nostra visita in Somaliland. Dalla capitale dista 1 ora e 20 minuti, e non ci deluderà affatto, anzi: una galleria d’arte a cielo aperto, qualcosa di eccezionale e perfettamente conservato nonostante siano datate dal 6000 al 10.000 a.C. Avevo preventivato un’ora di visita ed invece ci rimaniamo per 3 ore, incantati e stupiti, perdendosi negli indovini, cosa sarà questo? Perché? Fate attenzione all’artista dalle 6 dita, perché una di esse è probabilmente il pennello. In tutto ci sono 7 pareti rocciose da ammirare, il sentiero è semplice e vicino al parcheggio delle auto, quindi un sito visitabile da chiunque. Ritorniamo in capitale alle 15:00, ordiniamo il pranzo, del riso semplice, e ci portano gli spaghetti !!! A cena andiamo all’hotel “Maanoous” per incontrare il mio amico Pattarin di Argonauti Explorer, anche lui con un gruppo. Parliamo un po’ di tutti, e lui, che di Africa se ne intende molto più di me, mi fa notare che ancora oggi la popolazione Dinka del Sud Sudan adorna le vacche con delle stoffe sul collo, praticamente ciò che abbiamo visto nelle pitture di Laas Gaal. Quindi è più che ipotizzabile una migrazione dei Dinka, popolazione nilotica, dall’altopiano somalo verso il centro dell’Africa, verso la regione di Equatoria.

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2 gennaio, mercoledì: nella notte, così per scrupolo, controllo il sito dell’ “Air Djibouti” per il volo aereo di domani e scopro che il volo è stato anticipato di 2 ore, per noi è meglio ma chi legge ed ha intenzione di andare controlli sempre i voli, non sono affidabili. Abbiamo ancora una mattina da trascorrere ad Hargeysa e ci portano al mercato degli animali, pieno zeppo di capre, cammelli e vacche. Un po’ di traffico al centro città, giusto in tempo per fermarci in un banchetto di souvenir e ritorniamo al “Diamond Hotel” alle 11:45 per prendere le valige e andare in aeroporto. Anche se i nostri autisti hanno arbitrariamente deciso che ci accompagneranno in aeroporto alle 13:00, evidentemente devono mangiare e noi dobbiamo rimanere tranquilli. Il tempo c’è tutto, sono io che anticipo di parecchio per superare qualsiasi imprevisto. Entrare all’aeroporto internazionale di Hargeysa è come recarsi in una graziosa villetta di boungaville, questo è il terminal; ci controllano per ben 3 volte e ci fanno gettare alcune pietre senza nessun valore, che stavamo portando via. All’interno della villetta si possono mangiare somoza e panini con tonno, pagabili in dollari praticamente la valuta “ufficiale” del Somaliland. L’aereo ritarda di un’ora, decolla alle 16:45 e alle 17:30 siamo a Djibouti City, sceso dall’aereo ci investe un’ondata di aria calda, piacevolissima. Le guide sono lì fuori ad aspettarci con due jeep, e ci accompagnano all’hotel dell’Europe che sono le 19:00 poiché le procedure per prendere il VISA (120 $) in aeroporto sono a dir poco complicate e disorganizzate. L’hotel gestito dal simpatico Mustaphà è centralissimo; a piedi andiamo alla ricerca di un ristorante, ma qua i prezzi sono veramente alti, quasi da nord Europa. Dopo cena passeggiamo un po’ per la città, ammirandone il suo decadente fascino coloniale.

3 gennaio, giovedì: ottima e abbondante colazione all’ Hotel dell’Europe, poi alcuni di noi tentano il prelevamento contanti a Gibuti senza riuscirci, quindi fate attenzione. L’orario di partenza doveva essere le 09:00 ma si parte alle 10:00 perché la polizia in modo piuttosto brusco e risoluto sequestra una macchina con il nostro autista, non abbiamo mai capito perché, forse aveva qualcosa di scaduto, chissà. Quindi subiamo questo leggero ritardo, ma alle 12:30, puntuali per il pranzo, siamo a Dakhil, il paese dove finisce l’asfalto per raggiungere il Lac Abbé, fin qui ottima strada, scorrevole e con poco traffico. Una volta usciti

dall’area metropolitana di Gibuti il paesaggio diventa quello classico della Dancalia, polveroso, secco ed ostile. Al ristorante “Le Palmeiras” di Dakhil ci sono altri gruppi che vanno o vengono dal Lac Abbé, qui mangiamo benissimo e vi consiglio di provare le ottime patate fritte. Ripartiamo da Dakhil alle 13:48 e dopo numerose soste sulla strada raggiungiamo il camp del Lac Abbé alle 17:30. Infatti durante il tragitto, sempre “off road”, incontriamo diversi villaggi Afar, al primo, che è quello più grande il nostro autista si ferma per mostrarci la sua casa, mentre quelli più in la sono più malmessi, fatti di sole capanne dei nomadi, con la struttura in legno. Solo l’ultimo tratto di strada è pessimo, con un passaggio da fare con le marce ridotte, per il resto è tutta pista. Ecco dall’alto il Lac Abbé, una meraviglia della natura, pieno di “hornitos” ovvero le guglie di terra che ne caratterizzano il paesaggio e al tatto si sgretolano via, basta guardare a terra e qua là sorgenti d’acqua sulfurea caldissima che fuoriescono. Battendo forte il terreno si sente un sordo rimbombo, come essere sul sottile tappo di un’enorme vulcano. Al tramonto i colori più belli, alcuni bambini Afar portano le loro mandrie di capre al ricovero notturno, dopo averle fatte abbeverare nelle acque, lontanissime, del lago. Come scende la notte siamo al camp, le capanne, con due letti ciascuna, sono delle cupole fatte di tondini di ferro e ricoperte di stuoie, brandine con materassi e zanzariera. Il camp è fornito di bagni pubblici e perfino di doccia, anche se l’acqua a queste latitudini va razionata. Ottima cena, con insalata e spiedini di pecora, poi dei bambini Afar mettono in scena un piccolo spettacolo di balli per guadagnare giustamente qualche soldo dalle mance. Nottataccia, avrei dormito benissimo ma le zanzare, appena il vento si è calmato, non mi hanno dato tregua, inutile la zanzariera, erano talmente tante che entravano ovunque e pizzicavano, inutile anche il bioKill spruzzato e l’autan tropical.

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4 gennaio, venerdì: alle 05:30 che è ancora buio mi alzo per la disperazione e osservo le ultime stelle che via via scompaiono dal cielo facendo posto alla luce del giorno; prima di colazione si va a passeggio tra i camini fumanti del Lac Abbé, spaccature, acque che ribollono, manca soltanto la lava viva a completare il bellissimo quadro. Poi si ritorna al camp per la colazione e alle 08:15 si parte, dopo due ore e mezzo filate siamo a Dakhil al solito ristorante di ieri, “Le Palmeiras”, dove ci preparano dei panini che mangeremo più tardi. Quindi direzione Lac Assal, il punto più basso d’Africa, -155 metri sotto al livello del

mare: qua i colori sono eccezionali, domina su tutti il turchese e il bianco del sale. Il Lac Assal è separato dal mare da un braccio di terra di 2/3 km, riceve acqua marina tramite un complesso sistema di falde, che praticamente annullano il principio fisico dei vasi comunicanti. Non si riesce a rimanere più di tanto al Lac Assal, fa caldissimo e l’ombra è una sconosciuta. Ripartiamo e ci fermiamo a mangiare i panini alla Plage del vulcano Abengouroka, che è proprio dietro di noi, un cono perfetto. Qui c’è un militare francese, di Nancy, che chiede soccorso, infatti stavo pescando e uno squalo lo ha trascinato sugli scogli che hanno tagliato profondamente il polpaccio, gli do un pò di disinfettante. Dopo il pranzo arriviamo ad un “View Point” proprio sopra alla spiaggia, il vento è fortissimo, di quelli che ti portano via le parole dalla bocca e ti fanno barcollare qua e là, ma la vista è spettacolare poiché si vede sia il Lac Assal sia il mare nella laguna di Ghoubbet in un paesaggio pieno di vulcani più o meno spenti, coni neri con il buco in mezzo. Ci avviciniamo ad uno di questi, spento dal 1978, ma ancora oggi è udibile il suo respiro, il calore che emana dalla frattura e nei pressi è stata costruita una centrale geotermica per lo sfruttamento dell’Energia prodotta. Qua siamo all’inizio della “rift valley”, quella spaccatura che generò la regione dei grandi laghi, il Kilimanjaro, e arriva fino a giù in Mozambico, ed un giorno nemmeno troppo lontano, geologicamente parlando, staccherà l’intero corno d’Africa dal continente. Riprendiamo il viaggio verso Tadjoura dove ci fermiamo a comprare le birre per i tre giorni alle Sable Blanc, e poco più avanti, in un golfetto ecco la spiaggia e il resort delle Sable Blanc, luogo incantevole. Prendiamo possesso dei nostri “tucul”, ne prendiamo 2, dividendoci 3 e 4, praticamente delle grosse capanne sulla spiaggia con dei letti all’interno forniti di zanzariere, e qua si dorme divinamente, cullati dallo sciabordare delle onde sul bagnasciuga.

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5 gennaio, sabato: oggi il clou del viaggio, la degna conclusione di un itinerario straordinario: l’avvistamento degli squali balena, che in questa stagione si addensano nelle placide e calde acque della laguna di Ghoubbet per la riproduzione. Si parte alle 08:20 e si ritorna alle 12:00, con una semplice lancia di legno con tettino parasole ed un buon motore da 85 cv. Dobbiamo arrivare dalla parte opposta del golfo, nella zona di Arta il punto più fortunato per l’avvistamento e ci mettiamo un’ora esatta a tutta, poi arrivati nella costa opposta procediamo lentamente ad una distanza di 100 da terra, il fondale si vede, saranno 5/6 metri. Navighiamo così per parecchio, quasi stufi stiamo per tornare indietro quando avvistiamo il primo squalo balena, poi il secondo, e frettolosamente ci tuffiamo in acqua. Poi risaliti in barca, poco più in la ne

vediamo altri, scene bellissime ed emozionanti. Sensazione? Tuffandomi, giusto il tempo di infilare la maschera e me lo sono ritrovato di fronte, con quella bocca enorme: paura e stupore sicuramente, ansia poi sostituita dalla gioia, esaltazione finale. Quel grosso pesce non lo dimenticherò mai più, è stata la ricompensa finale dopo aver anelato per anni a questo viaggio. Ritorniamo, peccato che a metà strada finisce la benzina, dobbiamo sostituire la tanica ma non funziona l’attacco, quindi travasiamo benzina con un imbuto di bottiglia, e mi lavo con la nafta che brucia soprattutto nelle parti intime, anche se l’adrenalina è così strabordante che non me ne frega granché. Ritorniamo alle Sable Blanc e termino la giornata in completo relax sulla sdraio, anche se davanti a me c’è la barriera corallina a pochi metri dalla riva, luogo ideale per lo snorkeling.

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6 gennaio, domenica: ultimo giorno di viaggio e lo godo tutto in completo relax in spiaggia mentre il resto del gruppo preferisce far visita al villaggio Afar di Beumoloché, due ore andare e altrettante tornare, infatti ritornano per il pranzo. Io godo il mare e lo snorkeling, mi becco una puntura di medusa sulla coscia, chiacchero, faccio amicizie, passo il tempo insomma in quei 30/40 metri di spiaggia fino all’ultimo raggio di sole, esattamente alle 17:54. All’ultima cena invece, organizzata appositamente in spiaggia, accade qualcosa di bellissimo ed inaspettato, infatti Diane e Roberto oltre ad un divertente racconto su ognuno di noi, mi regalano una scatolina in pietra pomice per ringraziarmi….ecco non poteva esserci nulla di più bello, il premio per questo viaggio, ancora oggi, pensandoci, seppur ho un cuore schivo e silenzioso, mi commuovo !

7 gennaio, lunedì: Solo in 3 partiamo, gli altri 4 restano ancora due giorni pieni alle Sable Blanc, beati loro ! Sveglia alle 05:30, colazione veloce sulla spiaggia che è ancora buio, e partenza puntuale alle 06:00, poi alle 09:00 puntualissimi e anche con molto anticipo siamo all’aeroporto internazionale di Ambouli: volo Turkis regolare, alle 21:20 sbarco a Fiumicino dopo un viaggio grandioso.

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