Repubblica Centrafricana

Il regista Werner Herzog nel 1990 diresse uno dei pochi film esistenti sulla Rep.Centrafricana: “Echi da un regno oscuro” che riguardava la figura del dittatore e imperatore, folle e cannibale, Jean Bedel Bokassa, deposto nel 1979, dopo anni terribili. Un “regno oscuro” oggi è uno Stato tra i più poveri al mondo dove presumo che la maggioranza dei suoi cittadini non sa nemmeno di farne parte, uno Stato dove il miglior hotel della capitale Bangui vale un nostro alberghetto economico a 3 stelle, uno Stato sconosciuto che negli ultimi anni ha imparato ad odiare i francesi e ad accogliere a braccia aperte le milizie della Wagner, “loro ci depredano ma almeno evitano che ci facciamo la guerra tra noi, i francesi invece hanno sempre messo un clan contro l’altro” così mi ha risposto la mia guida. Quindi attualmente sembra che ci sia la pace, ed è già tanto. Noi, turisti curiosi di visitare uno dei Paesi più sconosciuti del mondo, abbiamo vissuto la nostra esperienza di viaggio, appunto in una “bolla turistica” che solo marginalmente e aggiungo casualmente ha toccato la realtà del Centrafrica. Quindi il nostro viaggio può dividersi in due sezioni: la capitale Bangui e la riserva naturale dello Dzanga-Shanga, nel mezzo una sterminata foresta equatoriale, un polmone verde infinito ed intricato. Forse il nome, così banale, Repubblica Centrafricana, che non è altro che un’espressione geografica ha contribuito a nascondersi ancora di più; un tempo si chiamava l’ Ubangi-Sciari, quando ancora faceva parte delle colonie francesi, cioè il territorio compreso tra il fiume Sciari a nord e il fiume Ubangi a sud.
25 aprile, giovedì: partenza dall’Italia con i voli serali Ethiopian, siamo in 3 da Roma e in 5 da Milano, ci incontreremo tutti l’indomani ad Addis Abeba.
26 aprile, venerdì: l’aeroporto di Addis Abeba, è un hub eccezionale per l’Africa, al mattino presto raccoglie tutti i voli internazionali provenienti dall’Europa e in poche ore, prima di pranzo, li sistema in ogni parte del continente. Così anche per noi, alle 08:40 ripartiamo tutti insieme per Bangui, dove atterriamo alle 12:10, in perfetto orario. L’aeroporto internazionale centrafricano non brilla per efficienza organizzativa, sale d’aspetto, nastri bagaglio; scendiamo e tutto l’aereo si dirige in branco verso un container sanitario dove avrebbero dovuto controllare il certificato febbre gialla, ma è tutto casuale, poi andiamo alla dogana, cerco di essere il primo anche per capire come funziona, e sarei potuto semplicemente entrare nel Paese senza visto, non si capisce nulla. Fortuna che c’è Steve ad aspettarci, è lui il nostro risolutore dei problemi burocratici, raccoglie i nostri passaporti e nel frattempo che ritiriamo i bagagli i visti di entrata sono pronti, riesco pure a cambiare i soldi per tutti in valuta locale, il solito franco CFA. Nemmeno il tempo di fumare una sigaretta e di rendermi conto di quanto faccia caldo, e siamo nella stanza opposta, cioè il terminal delle partenze, pochi minuti e camminiamo nuovamente sulla pista dell’aeroporto, stavolta per salire sul Cesna 208, controllano il peso dei nostri bagagli con bilancia portatile e poi si parte, siamo noi e un impiegato del Doli Lodge, l’aereo lo guida un capitano sudafricano, sorridente e soprattutto rassicurante. Il nostro aereo 9 posti vola attorno ai 2000 metri, non è pressurizzato e ogni tanto ho dolore alle orecchie: sotto di noi un interminabile tappeto verde, la foresta equatoriale, zeppa di vita animale e vegetale, e davanti a noi degli enormi nuvoloni che schiviamo e a volte sfioriamo, ti senti proprio al centro dell’Africa, l’equatore puoi solo immaginarlo così. Il volo dura circa 2 ore e 20 minuti, atterriamo nel mezzo della riserva dello Dzanga-Shanga, vicino al fiume Shanga: in tutto ci sono due villaggi abitati dai Pigmei baaka, il villaggio di Bayanga abitato dall’etnia Bantù che esercita il potere nella zona con il sindaco e il posto di polizia, il nostro Doli Lodge un paradiso nel nulla, il fiume, la foresta con tutti i suoi innumerevoli suoni. La pista è un campo d’erba, non c’è nessun terminal, solo una bilancia che pesa il bagaglio e le persone perché questi aerei hanno un peso limitato di trasporto; con due pick-up ci sono Eliseu e Lambert ad aspettarci, 2 o 3 minuti, e siamo al Doli Lodge, prendiamo velocemente le stanze e subito a vedere la prima delle tante attività che ci aspetteranno in questi giorni: le danze pigmee al villaggio di Mossaupola, che prende il nome dal fiume omonimo. Siamo tutti ed 8 molto stanchi, ma l’atmosfera di questo villaggio nel cuore della foresta, cancella tutto lo stress e al tramonto, seduti su sedie di plastica, è quasi rilassante, basta entrare nel ritmo dei loro canti. I pigmei esprimono moltissimi aspetti della loro vita attraverso il canto, melodie ancestrali che vengono eseguite sempre in gruppo; infatti mettono in scena quattro diversi tipi: la “iaia” che celebra l’uomo cacciatore che torna dalla foresta con il cibo, la “boiobi” per ingraziare gli spiriti della foresta, la “elanda” danza matrimoniale, la “mobendu” che celebra il cacciatore che torna con un’antilope. E’ intuibile lo stretto legame che hanno i pigmei Baaka con la foresta, da cui prendono tutto, cibo, vita, medicine, acqua, riparo, vivono in un perfetto ecosistema con essa. Dopo la danza torniamo al nostro piccolo angolo di paradiso nella natura, il “Doli Lodge”, ceniamo presto, alle 18:30 su una splendida terrazza in legno affacciata sul fiume Shanga. Poi racconterò del “Doli Lodge”.




27 aprile, sabato: prima di iniziare a raccontare la giornata devo descrivere il “Doli Lodge”, perché tutto il viaggio nello Dzanga-Shanga ha lì il suo fulcro: costruito con i fondi del WWF è veramente un gioiello nel contesto estremamente naturalistico e selvaggio in cui si trova. Direttamente sul fiume Shanga è composto da 6 lodge a palafitta, ognuno provvisto di due stanze da 4 posti letto ciascuna, poi c’è il caseggiato della reception con gli uffici, una casetta con la cucina e infine la terrazza meravigliosa sul fiume Shanga dove c’è il ristorante, i tavoli per mangiare, i divani dove rilassarsi e il wi-fi per connettersi. Le stanze tutte in legno, provviste di zanzariera, essenziali e pulite, al ristorante invece abbiamo sempre mangiato su tovaglie bianche, prima l’antipasto e poi il piatto unico variando sempre il menù con ciò che c’è a disposizione. E poi il personale, tantissimo perché da lavoro o almeno qualcosa da fare agli abitanti di Bayanga, sempre gentile e sorridente.
La colazione sarà sempre la stessa, buona e abbondante: caffè, marmellata, burro, formaggio, salumi, homelette, papaya, succhi di frutta. Iniziamo la giornata con una passeggiata al villaggio di Bayanga, ci si arriva attraverso un sentiero nella foresta. E’ un misero villaggio fatto di capanne di legno e tanti bambini, anche perché le scuole sono chiuse e stanno tutti per strada. Il centro del paese è una rotatoria con un al centro una statua di un elefante, non fatta benissimo ma rende l’idea. Al mercato non vendono prodotti occidentali, solo verdure locali e “viande de brousse”, c’è il “Blue Duiker” una piccola antilope e il “mangaby” una scimmietta. Con le jeep torniamo al villaggio dei pigmei Baaka di Mossaupola, dovele donne del villaggio mettono in scena il “water drumming”: è sensazionale il suono che riescono a fare con mani e braccia nell’acqua, sembra un tamburo vero e proprio. Questa esibizione viene messa in scena quando le donne devono sposarsi, gli uomini osservano e poi scelgono fino a 2 mogli, nella tradizione. Nel frattempo il tempo peggiora, inizia a piovere e arriva il temporale, noi pranziamo al ristorante con capra al curry e riso bianco, un po' di riposo nelle stanze e alle 13:00 si parte per il bai di Dzanga, questa celebre radura nella foresta, piena di animali, desiderio di tanti anni. Dopo circa 40 minuti di jeep arriviamo al cartello rotondo “Dzanga Bai”, da qui si procede a piedi: il trekking è di circa 1 ora andando molto lentamente, saranno 2 km, non di più; nel primo tratto si attraversa un fiume e una palude, quindi sono necessari gli stivali in gomma, il secondo tratto invece è nella foresta dove bisogna procedere in assoluto silenzio e in fila indiana, incontrare un elefante sul sentiero non è un’esperienza raccomandabile. Dalle 15:00 in poi, siamo finalmente su questa celebre palafitta d’Africa sul bai: conto 63 elefanti, 10 bufali di foreste, poi fanno la loro comparsa sulla scena 23 antilopi “bongo” con la loro caratteristica coda ad elicottero, fanno una passeggiata, brucano l’erba, e dopo 30 minuti scompaiono nuovamente nella foresta. Al crepuscolo montiamo 5 tende e 2 zanzariere, praticamente la palafitta è piena, non c’è dove camminare. Ognuno di noi per cena ha spezzatino e piselli, pane e una banana. La notte mi sveglio all’ 01:45 mi sembrava giorno, invece era solamente salita la luna, e tutto il concerto della natura.


28 aprile, domenica: elefanti nella nebbia, è questa l’immagine al mio risveglio, elefanti che sbuffano e barriscono, questo è un luogo che vale l’intero viaggio, non ha eguali al mondo, incredibile. Lasciamo la palafitta alle 07:00 e alle 08:00 siamo alle macchine, 4 vanno diretti al lodge e altri 4 io compreso aspettiamo che tornino i portatori, poiché essi non hanno dormito con noi e stanno riportando i nostri bagagli. Colazione al lodge alle 09:30, poi relax fino alle 15:00 con l’inframezzo del pranzo, è un viaggio dai ritmi molto lenti, come lo scorrere placido del fiume Shanga. L’attività del pomeriggio è la navigazione in canoa tradizionale sul fiume Mossaupola, un afluente dello Shanga, che prendiamo 150 metri a monte del lodge, poi ci fermiamo, scendiamo con il fango fino al ginocchio, e ci mostrano la raccolta del vino “raffia”. Questa è una delle attività economiche principali della comunità bantù e pigmea: è una bevanda alcolica al 4% chiamata localmente “molengue” e ottenuta dalla Raphia Vinifera. Viena tagliata la giovane infiorescenza verticalmente nel cuore della palma ed estratta la linfa che poi viene raccolta in un contenitore coperto dalle foglie per mantenere lontano gli insetti. Il processo di fermentazione inizia subito, il prodotto finale assomiglia ad un vino bianco giovane, che viene raccolto una volta al giorno, e ogni pianta produce dai 20 ai 60 litri. Con una scala di bambù si sale in cima alla pianta, poi il vino verrà venduto dalla moglie, e non può essere conservato per più di 48 ore.



29 aprile, lunedì: oggi è la giornata dei gorilla, dovrebbe essere la più bella e indimenticabile, ma non andrà così, perché i gorilla non li vedremo. Partiamo entusiasti alle 07:30, prima il tampone presso un dispensario vicino al lodge e poi un’ora di strada fino al Bai Hokoi, dove arriviamo alle 09:00. Stavolta sul cartello rotondo del Bai c’è il gorilla, alcune capanne ben tenute e delle guide pigmee ad aspettarci. Camminiamo nella foresta per 3 km e 400 metri, un sentiero semplice a parte qualche guado, ma dei gorilla niente, stanno cercando Makumba, l’anziano silverback con la sua famiglia. Altri pigmei avvisano i nostri che Makumba con tutta la sua famiglia è scappato lontano, impossibile vederlo e dobbiamo tornare indietro. La questione è questa ed è molto triste: Makumba è ormai vecchio e minacciato da altri maschi che vogliono portargli via tutta la sua famiglia, quindi sta scappando: probabilmente siamo stati gli ultimi turisti sulle tracce di Makumba, infatti verrà ucciso il 10 maggio lottando con un silverback più giovane.
Torniamo al lodge, riscatto i soldi delle tende che avevo comprato per loro, compro almeno la maschera in legno di Makumba molto bella e poi l’attività delle 15:00: in barca a motore fino alle cascate Mabeya. Le cascate sono nel cuore della foresta, risalendo il fiume Shanga a circa 30 km dal Doli Lodge, e poi 20 minuti di trekking su un fianco del monte Yadé. Le cascate, dove è possibile bagnarsi volendo, non sono nulla di eccezionale, tuttavia è molto bella la risalita del fiume, si incontrano pescatori in piroga, villaggi di pescatori
e l’altro lodge della zona, il nostro competitor diretto: qua nello Dzanga sono solo due. Cena con polpette e patate.
30 aprile, martedì: la notte è stata terribile, il temporale illuminava ovunque, lampi, tuoni, pioggia e un vento fortissimo che spazzava via tutto. Al mattino passò tutto, ma a colazione, abbiamo deciso all’unanimità di provare a partire un giorno prima di Bayanga, evitando di riprovare ad incontrare Makumba, ed abbiamo fatto bene, ormai impaurito e fragile chissà dove si è nascosto nella foresta. Anche perché il nostro 208 Grancaravan non decolla e non atterra con un temporale del genere, è un aereo piccolo ed ha bisogno di condizioni meteorologiche ottimali. Partendo un giorno prima, abbiamo più possibilità di trovare la finestra giusta. Per il giorno in meno, otteniamo il rimborso, che spenderemo per la notte in più a Bangui, devo ammettere massimo della trasparenza ed onestà. Giornata dedicata ai pigmei Baaka, stavolta andiamo all’altro villaggio, quello di Yandoumbé, la nostra guida Eliseu ne recluta parecchi, salgono tutti dietro al pick- up e intanto cantano, i Baaka cantano sempre. La prima attività che ci mostrano è la “caccia”: nella foresta i cacciatori si dispongono a semicerchio, poi gridano e battono a terra, con l’intento di spaventare gli animali che scappano e vengono indirizzati verso le reti, solitamente sono porcospini e piccole antilopi come il Duiker.
L’altra attività che ci mostrano è la raccolta di “piante medicinali”: la donna più anziana ed esperta conduce dimostrando abilità straordinaria nell’uso del machete, le piante che ci mostra, una rosso sangue, un’altra collosa, hanno diverse proprietà che servono a curare l’epilessia, l’influenza, il mal di stomaco. Per l’acqua nella foresta, basta spezzare una liana. Poi costruiscono in pochi minuti una capanna, poiché seminomadi sono molto abili: però il lavoro è fatto esclusivamente dalle donne, all’interno vengono intrecciati rami e fogliame mentre il tetto con le foglie di engongo che garantiscono l’impermeabilità, le stesse foglie si prestano anche per imballaggi o in cucina per avvolgere i cibi. Terminata la capanna, inscenano uno spettacolo e accendono il fuoco con i legnetti. Sono incredibilmente simpatici. Ci spostiamo, e dalla foresta raggiungiamo il villaggio, qua sempre le donne ci mostreranno la pesca e siamo accompagnati dalla moltitudine tipica dei bambini d’Africa. Il metodo è quello di creare una specie di diga con fango e rami, creando un serbatoio che verrà svuotato dell’acqua e al suo interno saranno raccolti pesciolini e gamberetti.



1 maggio, mercoledì: eravamo a colazione, bevendo il nescafé sul fiume Shanga quando abbiamo sentito arrivare il G208 Grancaravan che veniva a prenderci, tutte le nostre valige già chiuse e pronte, 5 minuti e siamo sulla pista erbosa, pronti a salutare questo paradiso equatoriale. Il pilota è lo stesso, un sudafricano sorridente, ci pesano a tutti compresi i bagagli e molto velocemente si parte. Sorvoliamo a circa 7000 piedi tutto il polmone verde infinito fino a Bangui, e li c’è il nostro Steve ad aspettarci, con due macchine ci accompagnano all’Hotel Ledger, l’hotel più esclusivo della capitale, il più bello, ma in Italia vale si e no un 3 stelle. Bangui, è la capitale più disastrata d’Africa, voragini nelle strade, palazzi fatiscenti, immondizia, niente ha un ordine, è tutto sommario, caldo e sporco. Ne consegue che non c’è molto da vedere, ma organizzo comunque un city tour: la prima tappa è ai negozi di artigianato, ce ne sono 4/5 e insieme a noi ci sono pure i soldati Wagner a fare acquisti. Poi andiamo alla cattedrale, sede vescovile, costruita con mattoncini rossi, riporta pure le date di visita di due papi, Wojtila e Bergoglio. Poi al cenotafio di Barthelemy Boganda, il padre della nazione, il primo presidente. Andiamo a bere qualcosa sul fiume Oubanghi, sotto all’hotel Oubanghi oggi in ristrutturazione: il fiume fa da confine con la Repubblica Democratica del Congo, ci beviamo una coca- cola seduti sulle roccette, il posto è grazioso, ricco di vita e di commercio.
Per cena andiamo al ristorante “Le Relais de Chasse” e mangiamo molto bene.
2 maggio, giovedì: oggi escursione alle cascate di Bouali che distano circa 70 km da Bangui, purtroppo però la gita andò storta e a Bouali nessuno ci arrivato, un peccato. Partiamo con due taxi, lasciamo la periferia della capitale, quando mi accordo che l’altra macchina non c’è, dico al mio autista di rallentare, niente, gli dico di fermarsi ad aspettare, ancora niente. Dobbiamo ritornarci, ma nel frattempo sono passati 40 minuti. L’altro taxi è fermo, alcuni militari o presunti tali sono attorno a loro, accusati di aver girato un video con il telefono ad una installazione militare, forse una caserma. Ormai ne sono accorsi troppi, trovare un accordo “amichevole” sarebbe troppo costoso, bisogna percorrere un’altra strada, quella delle scuse, fare ammenda e dimostrarsi pentiti. Così ci conducono in una caserma, dobbiamo aspettare il capo, fa molto caldo e le stanze sono buie, piene di carta che trasuda burocrazia da decenni. Tutti a guardarci, siamo l’attrattiva, il diversivo, intanto il capo ritarda, come tutti i capi si fa aspettare. Poi arriva, una divisa verde bottiglia, giacca senza camicia con tante medaglie colorate appuntate sul petto, non ha un viso bonario, piuttosto svogliato e autoritario. Ascolta l’accusata, ascolta me, vuole solo uscire da questa situazione in maniera impeccabile, senza essere buono ma un mero servitore della legge, e ci riesce. Ritira i nostri passaporti, incarica un attendente di fotocopiarli, e noi li ad aspettare sudati, e poi ci congeda in maniera piuttosto fredda. E’ quasi mezzogiorno, nessuno ha più voglia di andare a Bouali, le cascate non le vediamo. Pomeriggio sornione in hotel, usciamo solo a cena al “Relais de chasse”, per la seconda volta.
3 maggio, venerdì: giorno della partenza, voi Ethiopian Bangui/Addis Abeba e poi coincidenza per Roma e Milano dove arriviamo il 04 mattina. Una curiosità, il certificato febbre gialla è stato controllato in uscita dal Paese!